La deflazione? Arriva nel 2011

di Biagio Campo

Per il futuro inflazione o deflazione? La risposta è facile per il 2010. Non si verificherà né l’una né l’altra, tuttavia per il 2011 e 2012 ci potranno essere rischi di deflazione, questa la visione espressa da Christopher Probyn, chief economist di State Street Global Advisors, in un recente report.
Ad oggi non c’è abbastanza forza nell’economia statunitense per generare alcuna significativa accelerazione dell’inflazione, sebbene i prezzi dei combustibili fossili possano aumentare, dato che la ripresa mondiale sta acquistando velocità. L’economia non presenta neanche periodi di particolare stagnazione per generare una deflazione significativa, sebbene la maggior parte degli analisti si aspetti che l’inflazione sottostante (escludendo generi alimentari e prodotti energetici) rallenti un po’ dalla sua attuale andatura dell’1,5%.
“Se si guarda oltre il 2010 la risposta invece è meno chiara” si legge nel report firmato da Probyn. “C’è un dibattito animato tra gli economisti su quale sia il rischio più serio tra inflazione o deflazione. Quelli che credono che l’inflazione sia la minaccia predominante, si focalizzano principalmente sulle politiche monetarie eccessivamente accomodanti adottate in seguito alla recente crisi finanziaria mondiale, e ci ricordano che MV=PT, ovvero che la moneta (M), per la velocità di circolazione della stessa (V), equivale al numero di transazioni per il prezzo medio di una transazione (P). Misurata correttamente questa equazione è una tautologia”.
È l’associazione di due ipotesi a trasformarla nella teoria dell’inflazione: che velocità e numero di transazioni siano costanti e che la creazione d’inflazione dipenda dalla crescita monetaria. Questi monetaristi mettono in guardia sul fatto che la liquidità di oggi possa troppo facilmente trasformarsi nell’inflazione di domani.
“Diversamente” continua l’esperto di SSgA “coloro che credono che la deflazione sia la minaccia predominante, si focalizzano sul grado di stagnazione economica, e sposano la visione secondo cui la ripresa non avverrà in breve tempo. Il loro modello d’inflazione connette il denaro, o i tassi d’interesse, ai prezzi ma, piuttosto che assumere una relazione diretta, credono che il tasso di inflazione sia direttamente e inversamente correlato al grado di produzione in eccesso (output gap) dell’economia reale”.
Il modo migliore di misurare l’output gap è il tasso di disoccupazione, o più esplicitamente, la differenza tra i livelli reali e quelli di piena occupazione del tasso di disoccupazione, che proprio adesso si trova inaspettatamente al livello massimo del 5%. Queste curve di Phillips mettono in guardia sul fatto che in modo cronico un alto tasso di disoccupazione spinga facilmente l’inflazione a livelli sempre più bassi, fino a quando non si manifesterà la deflazione totale, come già accaduto in Giappone durante la maggior parte degli ultimi 15 anni.
“Ci sono certamente alcune controversie sulle ipotesi dei monetaristi secondo cui V e T siano costanti” spiega Probyn. “La velocità (l’inverso della domanda per denaro) può mostrare una certa tendenza e può essere volatile. Difficilmente il numero di transazioni (sostituto del Pil reale) potrà essere fissato senza che l’economia si trovi a un livello di piena occupazione. Dato che nessuno sosterebbe che l’economia si trovi attualmente ad un livello di piena occupazione, sembrerebbe ci sia abbastanza spazio affinché la recente espansione monetaria abbia come risultato un’attività economica più vasta piuttosto che prezzi più alti”.

L’articolo completo lo puoi trovare su Soldi,
in edicola in questi giorni

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!