Cina, una bolla che non spaventa

di Matteo Chiamenti

Ormai, è doveroso dirlo, tutti ci siamo un po’ stancati. Da qualche mese a questa parte, la quotidianità finanziaria ci riserva puntualmente nuovi timori, possibili default, minacce variopinte e chi più ne ha più ne metta. L’ultimo allarme prende le sembianze di un dragone, quello cinese, che in questi anni si è sempre comportato da fuoriclasse della crescita mondiale e che ora, complice una politica immobiliare che definire “estrema” è un eufemismo (lo sa bene il governo cinese che, per raffreddare le quotazioni del mattone ormai fuori controllo è intervenuto con decisione sul fronte della regolamentazione, innalzando tre volte ad esempio il coefficiente di riserva bancaria obbligatoria nel corso del 2010) si mostra vulnerabile, sfiancato, a tal punto da apparire pericoloso. L’unica maniera per fuggire dallo stillicidio del dubbio è quello di trasformarsi in suoi carnefici; ecco così pronta un’indagine sul campo con alcuni protagonisti del mercato.
La prima voce è quella di Giorgio Giovannini, country manager per l’Italia di Henderson Global Investors: “La vera domanda da porsi è se la Cina, così come il resto del mondo, sarà in grado di gestire una serie di bolle; si pensi ad esempio a quella ecologica, con i livelli di inquinamento che hanno raggiunto livelli impressionanti, basti pensare a una città come Pechino. In sostanza, siamo sicuri che anche in altri paesi tutto sia a posto? Ad ogni modo, concentrandoci sulla Cina, per fortuna questi eccessi sono ancora gestibili e reversibili e sono inoltre la naturale conseguenza di un reale sviluppo economico dell’area, cosa diversa ad esempio dagli Stati Uniti, dove vi sono stati e vi sono tuttora problemi simili, ma senza gli appaganti livelli di crescita economica comparabili al colosso asiatico. D’altra parte è comunque impensabile che la Cina, attualmente la seconda economia al mondo, sia in grado di regalare sempre livelli di progresso del Pil tra l’8% e il 10%”.
Insomma, la chiave sta nell’usare la ragione, specie negli investimenti: “Per chi fa il mio lavoro non è mai tempo di disinvestire; sarebbe stupido uscire ora, dopo i rendimenti registrati dal paese nel corso degli ultimi anni. Anzi, bisognerebbe comprare; il problema è il fatto che si tratta di un mercato giovane con molta più volatilità rispetto ai mercati consolidati, generalmente più direzionali, e questo aspetto va sempre considerato, sia nel bene che nel male”.
Un momento, in pratica, di stallo, la cui però consistenza non sembra preoccupare nemmeno Douglas Cairns, investment specialist di Threadneedle: “Penso che ci si trovi di fronte a una semplice correzione di bilancio piuttosto che a un vero rischio di tracollo finanziario, comunque assolutamente non paragonabile alla crisi che fu dei mutui subprime negli States; basti pensare che, nonostante tutto, il paese continua a offrire importanti stimoli economici, che si traducono puntualmente a livello produttivo. Il problema a livello internazionale, è che le titubanze cinesi sono capitate in concomitanza con le difficoltà avvenute sui mercati con la contrazione della liquidità. I tassi nell’area asiatica sono in continua crescita e ritengo non ci siano ragioni reali per ritenere l’indebitato occidente con maggiore potenziale di crescita nel medio lungo periodo”.
L’articolo completo lo puoi trovare su Soldi,
in edicola in questi giorni

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!

Tag: