Risparmio gestito – Cosa significa la riforma cinese

L’annuncio e la sua tempistica rispecchiano due gruppi di forze, di carattere economico e politico. Sul fronte economico, la Cina è riuscita decisamente a rimettere in moto la crescita economica interna dopo la crisi globale: il PIL reale è cresciuto all’11,9% annuo fino a marzo e la domanda interna è ancora più robusta. Inoltre, le esportazioni hanno messo a segno un’impennata dopo il vuoto registrato nel commercio globale nel periodo 2008-2009. A maggio, le esportazioni sono quasi ritornate ai livelli pre-crisi toccando quota 131 miliardi di dollari USA, rispetto ad un picco precedente la crisi di 136 miliardi di dollari USA. Al contempo, la bilancia commerciale, sprofondata bruscamente da un surplus mensile di 40 miliardi di dollari USA ad un piccolo deficit a marzo 2010, mostra ora chiari segnali di ripresa.

Sul fronte politico, la decisione delle autorità cinesi di ritornare ad un sistema di fluttuazione controllata (managed peg) o di “piccoli passi” (crawling peg) avviene alla vigilia del G20 di Toronto, in occasione del quale l’argomento del riequilibrio globale sarà quasi in cima all’ordine del giorno. Alla luce delle minacce dei membri del Congresso e Senato USA di imporre sanzioni commerciali alla Cina, il tempismo di questo annuncio è “politicamente perfetto” e dovrebbe perlomeno stroncare le critiche mosse alle manovre cinesi per la durata del summit, anche se i movimenti iniziali della valuta sono minimi; difatti, il contributo cinese al riequilibrio è già stato sostanziale, con una crescita della domanda interna che ha superato la crescita del PIL reale, anche se vi sono segnali contrari al perdurare di tale situazione. Questa mossa dovrebbe pertanto essere intesa quale parte di una serie di politiche concepite per consolidare la domanda interna senza fornire una risposta completa alla questione degli squilibri globali.

Nell’ottica degli investimenti, l’annuncio cinese ha immediatamente comportato forti movimenti al rialzo degli asset di rischio, quali le azioni e le valute di tutta l’Asia, segnalando da un lato la probabile revoca delle minacce protezionistiche per un periodo, ma dall’altro anche il riconoscimento da parte delle autorità cinesi del fatto che la crescita della domanda interna è essenziale per quella equilibrata futura. Inoltre, ciò implica non solo che le azioni nazionali cinesi e le società asiatiche che esportano verso la Cina dovrebbero riuscire a migliorare le loro vendite e i loro margini, ma anche che le valute asiatiche dovrebbero essere in grado di apprezzarsi moderatamente rispetto alla valuta cinese senza perdere competitività. Con queste premesse, dovremmo porre l’accento sul fatto che lo spostamento del CNY da un tasso stabilizzato rispetto all’USD ad uno controllato strisciante non è una panacea. Gli squilibri rimarranno ancora, la Cina continuerà a essere esposta al rischio d’inflazione e le società cinesi non potranno sottrarsi completamente alla minaccia di sanzioni. Inoltre, i movimenti della valuta non saranno a senso unico; non dovremmo attendere un apprezzamento superiore al 5-6% p.a. sulla base del track record storico della Cina. Il gradualismo sarà il motto dei policy maker cinesi.

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