Sempre più tricolore

Dieci anni fa Fidelity debuttava in Italia. In questo decennio il sistema finanziario è radicalmente cambiato e, con lui l’industria del risparmio gestito. ADVISOR ha incontrato Paolo Federici, country head per l’Italia di Fidelity Investment Managers, per fare un bilancio di questa decade.

A dieci anni dal debutto, qual è il bilancio?
In questi dieci anni Fidelity ha registrato in Italia una crescita costante. E questo è evidente se guardiamo l’andamento delle masse: oggi possiamo contare su un patrimonio superiore ai 6 miliardi di dollari. Dietro ai numeri si nasconde un’evoluzione che ha portato Fidelity ad essere largamente apprezzata anche dagli investitori privati. Come è naturale che sia, al nostro debutto su questo mercato erano soprattutto gli operatori “wholesale” (gestori di fondi di fondi, GPF e Unit Linked) ad utilizzare i nostri prodotti, ma oggi anche i privati possono accedere alla qualità messa in campo dai gestori di Fidelity.

E questo grazie alle reti distributive?
Indubbiamente. Oggi i nostri fondi sono distributi da tutte le realtà che offrono ai loro clienti una vera “open architecture”. Stiamo parlando di tutte le primarie reti di private banker e promotori finanziari. La maggior parte delle masse, attualmente, arriva dall’evoluzione della loro offerta. Ma, in questi dieci anni, è cambiata anche la percezione che il mercato ha di Fidelity. Inizialmente, eravamo percepiti soprattutto come un player forte sull’azionario. Oggi siamo riconosciuti come un valido partner anche in altri ambiti: tre quarti delle nostre vendite nel 2010 non riguardano i prodotti azionari, ma strumenti obbligazionari o di asset allocation dinamica di ultima generazione.

Restando sul fronte prodotti, come è cambiata la vostra offerta in questo decennio?
Credo che in questi dieci anni la crescente fiducia del mercato italiano verso Fidelity sia legata anche alla capacità mostrata nel proporre strumenti in grado di “autoadattarsi” alle diverse situazioni di mercato, come ad esempio la gamma di prodotti denominata “Multi Asset Strategic”. Si tratta di strumenti che permettono di beneficiare della crescita dei mercati e al contempo di difendere il capitale e contenere la volatilità nelle fasi più difficili.

La crisi, quindi, ha avuto anche effetti positivi?

La crisi ha fatto emergere la differenza tra i gestori che aggiungono valore solo quando i mercati crescono, e quelli che, invece, sono in grado di offrire valore in qualunque condizione di mercato. Se prima questa distinzione era poco evidente, oggi questa differenza è netta. Inoltre, oggi, i tassi bassi favoriscono il ritorno del risparmio gestito e un ritrovato interesse per la gestione attiva, meglio in grado di evitare ai clienti amare sorprese.

Prima accennava al ruolo dell’open architecture come volano per la crescita di Fidelity. Oggi qual è il motore della vostra crescita sul fronte distributivo?
Ultimamente abbiamo registrato una crescita di interesse nel mondo dei private banker. Non a caso abbiamo anche creato delle strutture ad hoc per supportare le realtà che operano sul segmento private. Inoltre abbiamo sviluppato dei prodotti espressamente dedicati a questa clientela: un esempio è la gamma FAST che prevede una soglia di ingresso di 50.000 dollari e che negli ultimi anni ha anche offerto rendimenti interessanti. Il FAST Europe dal 2004, anno del lancio, ha registrato a fine settembre 2010 una performance del 104% contro il +23,7% dell’indice MSCI Europe.

Cosa dobbiamo aspettarci per il prossimo anno da Fidelity?
Le novità sono cosi tante che è difficile elencarle tutte. Quello che è certo è che l’Italia sta assumento un ruolo crescente per Fidelity e riuscirà sempre più a catalizzare una parte importante delle risorse di prodotto e servizio che Fidelity metterà in campo nei prossimi anni. A titolo di esempio possiamo citare che per il 2010/2011 stiamo curando il lancio del business istituzionale con l’obiettivo di offire anche agli operatori di questo settore accesso ai nostri gestori e a soluzioni di largo successo sul mercato US come quelle, ad esempio, del life cycle (che in America vanta con Fidelity asset superiori ai 90 miliardi di dollari). Abbiamo, inoltre, rafforzato il team italiano con quattro nuovi ingressi: uno nell’area marketing (Donald Deangelis) e tre relationship manager (Cosimo Schinaia, Natale Borra, Marzio Gussago) e, non meno importante, con una forte valorizzazione delle risorse interne. Infine, rinnoveremo con la tecnologia web 2.0 il sito italiano, per renderlo sempre più utile e tempestivo nel serizio che Fidelity offre alle reti distributive partner.

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