Strategia di difesa

Sebbene negli ultimi mesi i movimenti dei prezzi sui mercati finanziari non siano stati particolarmente intensi, né improvvisi, lo scenario macroeconomico e vari altri elementi di incertezza sono stati capaci di generare inquietudine negli investitori, oltre che motivi di interesse per analisti e commentatori.
Spesso quando si parla di incertezza ci si riferisce al timore di discesa dei corsi, in questo caso il termine deve essere interpretato in senso proprio, come incapacità di prevedere, che sui mercati finanziari si traduce con assenza di direzionalità.
Il complesso percorso di ristrutturazione dei rapporti globali tra aree geo-economiche in atto da tempo è giunto probabilmente alla fase di formalizzazione, prova ne sia il mutamento in atto all’interno del FMI, e contemporaneamente comincia a generare tensioni che saranno risolte solo alla fine del processo con il raggiungimento di un nuovo equilibrio più conforme ai profondi mutamenti avvenuti negli ultimi anni.
I paesi emergenti, verso i quali si sta spostando il baricentro della crescita, dovranno lasciare che le loro monete si rafforzino favorendo un riequilibrio delle loro bilance commerciali anche con lo stimolo dei consumi interni. Parallelamente gli USA perderanno il ruolo di motore principale dell’economia mondiale e, insieme all’Europa dovranno ridimensionare le dinamiche di crescita per far rientrare i debiti pubblici e completare il processo di generale deleveraging.
In questo contesto analizziamo un possibile portafoglio adatto agli investitori con un profilo di rischio medio-basso e un orizzonte temporale parimenti contenuto, quelli che interpretano l’incertezza non come un’opportunità ma come un rischio dal quale difendersi. Come ormai usuale adotteremo il nostro sistema di categorie Bluerating.
Avevamo compiuto un esercizio analogo già in luglio proponendo un’asset allocation decisamente conservativa in un contesto anche allora caratterizzato da estrema incertezza.
In questi mesi gli elementi di novità emersi con maggior evidenza in grado di influenzare le scelte di investimento sono prevalentemente due: le tensioni valutarie che suggeriscono di minimizzare le scommesse sui cambi o di affidarle a tipologie di gestioni specializzate che possano sfruttarne i movimenti, e il QE2 (il secondo quantitative easing americano) congiunto a politiche analoghe di altri paesi, i quali insieme ai primi segnali di inversione della dinamica dei tassi indicano una possibile definitiva inversione di tendenza sul mercato dei bond.
La quota obbligazionaria dovrebbe così oscillare intorno al 50% con un’assoluta preminenza di gestione a duration bassa e di fondi monetari. Si suggerisce di mantenere l’equity a livelli contenuti, 20%, suddiviso tra “Large Cap Globali”, settore “Farmaceutico e Sanitario” e “BRIC”, questi ultimi nella misura del 5% ciascuno.
Un ulteriore 25% verrebbe investito nelle gestioni a ritorno assoluto, in particolare quelle a bassa volatilità (10%), quelle obbligazionarie (10%) e quelle a media volatilità con un più contenuto 5%. Il restante 5%, infine, come prima suggerito, potrebbe essere attribuito ai fondi della categoria “fondi specializzati sui derivati (tassi e valute)” all’interno della quale trovano posto le gestioni che investono prevalentemente in prodotti finanziari derivati, quali ad esempio gli swaps, su tassi d’interesse o di cambio.
Rispetto a 5 mesi fa suggeriamo quindi di ridurre al minimo le esposizioni valutarie, di abbassare ulteriormente la duration della quota obbligazionaria e di accrescere in maniera rilevante le gestioni a ritorno assoluto, seppure limitandole a quelle con volatilità contenuta.
Un ulteriore elemento di novità, sebbene non determinante, è infine l’introduzione, già illustrata, dei fondi specializzati in derivati su tassi e materie prime.

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