Risparmio gestito – E’ guerra aperta

OPINIONE
Guerra valutaria. Dopo la decisione di intervento sui mercati valutari del Cile – che ha dichiarato che spenderà quest’anno più di 12 miliardi di USD per contenere il peso-, anche la banca centrale del Brasile ha agito aumentando giovedì i requisiti di riserva verso le posizioni in valute straniere per limitare l’impatto dei flussi di capitale sull’apprezzamento del Real, salito circa del 13% sul dollaro da Maggio scorso (e quasi del 40% negli ultimi 2 anni). Il Brasile tematizzerà il problema dell’apprezzamento delle valute emergenti, in particolare dopo il varo della seconda manovra di espansione quantitativa statunitense (“QE2”) ad un prossimo meeting di aprile coi paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), al WTO dove vorrebbe equiparare interventi manipolatori sui tassi di cambio ai sussidi all’esportazioni ed altri organismi internazionali: nel fine settimana Guido Mantega, ministro delle finanze brasiliano ha sottolineato la criticità di questa guerra valutaria che ha visto come “vittime” oltre al real altre valute indipendenti come il dollaro australiano e il franco svizzero e che ha portato il Brasile da un surplus ad un deficit commerciale con gli Usa. Altre economie come Colombia, Perù, Messico, Corea del Sud, Tailandia, Taiwan e Indonesia hanno o stanno prendendo provvedimenti per limitare l’apprezzamento delle loro valute e perfino il Fondo Monetario Internazionale la scorsa settimana ha rilasciato uno studio che ribadisce la necessità di regole globali per limitare misure governative di controllo sui movimenti di capitale.

Eurocrisi. La commissione Europea ha proposto – sulla scia di quanto imposto e ottenuto dicembre scorso dalla Germania – , tramite il commissario interno Michel Barnier, di far partecipare gli obbligazionisti senior ai casi di fallimento di istituti bancari come ultima linea prima di farne sopportare il peso ai contribuenti, pur rinvenendo la difficoltà di definire un regime valido per tutti i 27 stati membri e comunque a partire dal 2013. Intanto il Portogallo – i cui bonds vengono ora, insieme a quelli irlandesi, rifiutati come collaterale (repo) dalla Banca Nazionale Svizzera -, nella persona del suo primo ministro José Socrates, ha ribadito di esser in grado di risolvere i suoi problemi senza dover ricorrere ad aiuti esterni: 
l’emissione governativa di titoli portoghesi di mercoledì sarà al riguardo un importante banco di prova, in una situazione in cui i tassi sul decennale sono tornati ai massimi (oltre al 7%). Un dato preoccupante è la crescita dell’ Markit iTraxx SovX Western Europe Index, un basket di credit default swaps (CDS- strumenti che misurano il rischio di fallimento) delle maggiori economie europee occidentali che è salito oltre all’omologo indice dell’europa centrale e dell’est, significando che gli investitori reputano la crisi addirittura peggiorata.

Obama si sposta al centro. La nomina giovedì di un dirigente di JP Morgan Chase, William Daley, come nuovo capo dello staff del presidente degli USA rappresenta una chiaro segno di avvicinamento ai repubblicani dopo la loro vittoria all’elezioni di metà mandato l’anno scorso. Nella stessa direzione va la nomina venerdì di Gene Sperling, ex consulente della Goldman Sachs, al posto di Larry Summers come capo consulente economico. La strategia che Obama si appronta a varare per risollevare il gigante a stelle e strisce punta sulla manifattura e l’esportazione ai paesi emergenti approfittando di un dollaro che in rapporto agli ultimi 4 anni risulta ancora sottovalutato di circa un 10%. Mentre gli Usa da una parte rappresentano ancora il maggior investitore internazionale, molte imprese americane sono in passato cresciute in madrepatria solo in riferimento al vasto mercato interno: 
sulla base di informazioni del dipartimento del commercio solo l’1% delle imprese USA esporta, di cui quasi il 60% esporta verso una sola nazione. Dei 262 contratti internazionali per facilitare il commercio tra paesi, secondo la camera di commercio gli USA sono coinvolti solo in 17. La convinzione è di poter fare di più dalla madrepatria USA per sfruttare il trend di crescita dei paesi emergenti con l’export rilanciando quindi l’occupazione. Proprio in merito all’occupazione il dato di venerdì di 103’000 nuovi occupati delude le aspettative, che erano intorno ai 200’000 nuovi posti, sebbene la disoccupazione (calcolata in base a sondaggio), risulta diminuita dal 9.8 al 9.4%, e ciò, unito alle accuse di inflazionare i mercati sono elementi che hanno contribuito a far sbilanciare la FED, la cui vice presidente Janet Yellen, nel fine settimana per la prima volta ha dichiarato che il programma di riaquisti della FED (QE2) ha contribuito ad aumentare di 1% l’inflazione, scacciando il rischio di deflazione, e genererà 3 milioni di nuovi posti di lavoro.

I problemi dell’Europa ma anche quelli degli Stati Uniti, due continenti a “fine corsa”, possono essere riassunti, dopo il fallimento dell’Eurozona e la delusione di Obama, in una mancanza di visione comune e, alla fine, di una leadership in grado di formularla e rappresentarla, acuita da una situazione post crisi in cui il vecchio continente, dopo un decennio di bassa crescita, continua ad inabissarsi e il modello americano ha palesato le controindicazioni del capitalismo selvaggio (sub prime, Lehmann..) e della cupidigia umana lasciata a se stessa (Madoff, ma anche la Grecia). Leadership che – con i suoi metodi e finche potrà – il capitalismo di stato cinese ostenta, come per esempio nell’articolo odierno sul Financial Times ove Li Kequiang, vice premier cinese, parla di un paese che con un quinto della popolazione mondiale, ha contribuito per il 2009 al 50% della crescita mondiale, la cui domanda interna contribuisce più del 90% alla crescita del paese e i suoi import hanno contato nel 2010 per quasi 1.4 trilioni di USD, divenendo secondi al mondo. Paese “il cui sviluppo non sarà possibile senza il mondo” e paese di cui “lo sviluppo mondiale ha bisogno”.

MERCATI

Settimana scorsa positiva per l’azionario US (S&P +1.1%) che ha fatto meglio dell’Europa (Euro Stoxx 50 +0.55%) con un dollaro indebolito sull’euro (da 1.298 a 1.342).

Sui nostri portafogli più dinamici abbiamo incrementato il peso azionario sulla base delle considerazioni più volte effettuate di elevata liquidità, interessanti valutazioni e premio al rischio, nonostante l’eccessivo sentimento positivo sull’equity potrebbe portare ad uno storno di breve.

Settimana in arrivo ricca di eventi: si terranno i meeting delle banche centrali di GB e BCE ove i primi segnali di inflazione cominciano a farsi sentire anche in Europa. Mercoledì il dato sul PIL tedesco atteso al 3.7% ci darà un idea di come la locomotiva tedesca stia funzionando, cosi come lo stesso giorno la produzione industriale europea già anticipata da PMI positivi. Sempre lo stesso giorno uscirà il beige book della FED mentre venerdì sarà il giorno dei dati sull’inflazione su US , Eurozona e GB.

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