Risparmio gestito – Focus emergenti

Nella decade che ha preceduto la crisi finanziaria l’economia mondiale ha attraversato una fase di crescita stabile accompagnata da una bassa inflazione. Durante questo periodo le economie emergenti, guidate dai cosiddetti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), hanno acquisito un ruolo sempre crescente. Questi Paesi, infatti, hanno incrementato l’offerta di beni nell’economia globale attraverso politiche aggressive, orientate all’esportazione. Le economie avanzate si sono avvantaggiate di questo contesto economico,  beneficiando di forti tassi di crescita, favoriti dall’assenza di spinte inflazionistiche. In questa fase le economie emergenti hanno agito come un fattore stabilizzatore del sistema economico globale.

Questa situazione è oggi oggetto di profondi cambiamenti, prevalentemente sotto la spinta di due fattori, entrambi connessi al ruolo degli Emerging Markets. Da un lato vi sono evidenti segnali che le economie in via di sviluppo stanno giocando sempre meno un ruolo deflattivo all’interno dell’economia globale: infatti, esse stesse oggi stanno contribuendo alla crescita dell’inflazione mondiale, sulla spinta di una domanda interna in costante accelerazione. Dall’altro, i Paesi Emergenti sono diventati i principali attori nel mercato delle materie prime: con la forza della loro domanda determinano in modo sempre più diretto l’andamento dei prezzi delle commodities, le cui valutazioni sono ritornate a livelli elevati.

In passato le economie sviluppate hanno goduto di un doppio beneficio: minori tassi d’inflazione nelle fasi di crescita, grazie all’apporto deflazionistico dei Paesi Emergenti, e assenza di pressioni sui prezzi nelle fasi di rallentamento, in risposta alla minore domanda. Oggi questo vantaggio sta scomparendo: le economie emergenti mantengono elevati livelli di domanda di beni, servizi e materie prime anche in fasi di rallentamento della crescita nei Paesi Sviluppati. Questo fa si che a minori tassi di crescita per le economie occidentali si accompagni l’ulteriore svantaggio di una minore discesa dei prezzi che a sua volta deprime la domanda privata, attraverso la riduzione del potere d’acquisto.

Sebbene le dinamiche dei prezzi delle materie prime non siano più favorevoli come prima per i Paesi occidentali, il fattore di compensazione tra i due blocchi economici oggi risiede nella creazione di una maggiore domanda da parte dei Paesi Emergenti per i beni prodotti dalle economie sviluppate. Pertanto, la minor spesa per i consumi da parte dei privati in Occidente sarà compensata da un contributo maggiore delle esportazioni verso i Paesi in via di sviluppo.

Il problema dell’inflazione globale è legato indirettamente anche all’obiettivo del G20 di ribilanciamento dell’economia mondiale, in particolare attraverso la riduzione dell’ampio gap tra il deficit commerciale Usa e il surplus delle economie in via di sviluppo. L’elemento chiave attraverso il quale agire sarà, infatti, il mercato dei cambi. Sebbene i Paesi Emergenti non abbiano fretta di rivalutare le proprie monete, crediamo che in ottica di medio termine assisteremo a un graduale processo di apprezzamento delle loro valute locali. Questo avverrà non solo per la pressione dei grandi Paesi industrializzati, ma anche per offrire una valvola di sfogo alla crescita dell’inflazione domestica, trainata dall’aumento dei consumi interni. Tuttavia, maggiori tassi di cambio da parte dei Paesi Emergenti si tradurranno in maggiore spinta inflattiva globale.

Nell’ultima decade le Banche Centrali, grazie anche a una sempre maggiore credibilità nel contrasto dell’inflazione, sono riuscite con successo a gestire la dinamica dei prezzi. Un obiettivo al quale ha indirettamente contribuito la spinta deflazionistica dei Paesi Emergenti. Oggi però le Banche Centrali si trovano a fronteggiare una nuova doppia sfida. Da una parte la loro credibilità è stata messa in discussione dal supporto offerto ai governi nell’azione di contrato della crisi, con ricadute negative sulle aspettative d’inflazione. Dall’altro non potranno beneficiare in futuro dell’apporto positivo alla dinamica dei prezzi garantito dall’effetto stabilizzatore dei Paesi Emergenti. In termini macroeconomici le Banche Centrali saranno costrette ad agire in modo più deciso per combattere l’aumento dei prezzi e questo a sua volta porterà come conseguenza un tasso di crescita strutturale minore.

È molto probabile che nelle diverse economie le autorità monetarie gestiranno la situazione in modo differente. In particolare in Usa ed Europa assisteremo a nostro avviso a due diverse reazioni da parte della BCE e della Fed, dati i vincoli dei loro differenti mandati. La BCE, coerentemente con il suo mandato unico di stabilità dei prezzi, agirà rapidamente attraverso alcune misure restrittive. La Fed, invece, grazie a un bilanciamento nei suoi obiettivi tra crescita e inflazione, avrà la possibilità di continuare ad attuare una politica accomodante, fino a quando non arriveranno segnali concreti e positivi dal mercato del lavoro.

Vi è la percezione da parte degli operatori che le principali Banche Centrali delle economie avanzate siano disposte in questo momento a tollerare una maggiore inflazione, in cambio di un aumento della crescita economica e dell’occupazione, nonostante i loro mandati siano più o meno direttamente caratterizzati dall’obiettivo di tenere sotto controllo i prezzi. Tuttavia, se questa percezione si trasferisse all’interno dell’economia, produrrebbe come effetto una crescita delle aspettative d’inflazione, con ricadute negative sulla crescita economica. Si giungerebbe a una situazione di stallo, nella quale la maggiore spinta alla crescita da parte di politiche monetarie accomodanti finirebbe con l’essere annullata dagli effetti discorsivi dell’inflazione, prodotta proprio da queste decisioni sul costo del denaro.

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