Risparmio gestito – La forza della UE

È convinzione comune che l’Europa sia piccola e svolga un ruolo sempre meno rilevante nell’economia globale per via dei suoi attuali problemi, mentre la Cina sia grande ed eserciti un’influenza sempre maggiore, dopo avere gestito con successo la crisi economica globale. Gli Stati Uniti sono considerati un’economia grande e potente, ma più per preconcetto che per i suoi attuali meriti. Questo discorso non è necessariamente sbagliato, ma non tiene conto del fatto che l’Unione Europea sia la più grande economia mondiale ed abbia iniziato ad affrontare sul serio le proprie difficoltà. Il problema dell’Europa non è pertanto necessariamente legato alle proprie dimensioni o all’attuale crisi del debito, ma piuttosto al basso livello di ambizione nel far fronte alla crisi.

L’UE è la più grande economia mondiale

La Cina è diventata ufficialmente la seconda economia del mondo a febbraio, dopo l’annuncio  che economia cinese alla fine del 2010 ammontasse a 5,88 trilioni di dollari USA, mentre quello dell’economia giapponese fosse di 5,47 trilioni di dollari. Si tratta tuttavia di cifre non molto recenti, in quanto il valore della produzione cinese registrato nel secondo trimestre dello scorso anno è stato più elevato rispetto a quello giapponese (rispettivamente pari a 1,33 trilioni di dollari USA per la Cina e a 1,29 trilioni di dollari USA per il Giappone), ma questa ha riconfermato l’idea comune che la Cina sia grande e stia crescendo in dimensione economica e influenza. La rivista Economist ha recentemente pubblicato una mappa del grande territorio della Cina nella quale vengono messi a confronto in modo piuttosto minuzioso diversi paesi del mondo con le province cinesi, in base alla loro dimensione economica.

Ad esempio, Austria e Irlanda equivalgono come dimensione economica rispettivamente alle province cinesi costiere di Zhejiang e Fujian, mentre l’Ungheria corrisponde all’entroterra di Shanxi. Gli Stati Uniti, seppure non crescendo altrettanto rapidamente quanto la Cina, restano la più grande potenza economica mondiale, mentre l’Italia non ha una dimensione economica maggiore della California e la Svezia e i Paesi Bassi equivalgono rispettivamente alla Carolina del Nord e alla Florida. È difficile esporre argomenti contro il fatto che la Cina sia davvero grande e stia crescendo rapidamente e, nello stesso tempo, la maggior parte degli analisti è stupita dalla rapida crescita fatta registrare dagli Stati Uniti nell’ultimo periodo. Poiché la situazione economica dell’Unione Europea oggi viene descritta sui giornali in modo prevalentemente negativo ed ha la tendenza a sorprendere per via delle perdite registrate, l’UE viene spesso considerata più piccola di quanto lo sia effettivamente. La dimensione economica dell’UE nel suo insieme è in realtà maggiore di quella di Stati Uniti e Cina (vedere il grafico), mentre quella dell’Eurozona si colloca circa a metà fra le due. Probabilmente è sensato comparare questi tre blocchi, siccome  presentano tutti livelli elevati di integrazione economica, ma anche significative disparità finanziarie (le province povere che si trovano nell’entroterra cinese, gli stati americani prossimi alla bancarotta e la crisi del debito nel sud dell’Europa) che richiedono una qualche forma di trasferimenti erariali da parte dell’autorità centrale. Forse l’UE sta crescendo più lentamente rispetto agli altri due blocchi, ma le problematiche di fondo da affrontare non sono necessariamente maggiori. Inoltre, l’UE ha iniziato a risolvere i propri problemi, mentre gli Stati Uniti e la Cina stanno ancora discutendo sulla necessità di riequilibrare le loro economie. Tutto questo lascia intendere che l’Europa non debba necessariamente diventare meno rilevante sulla scena economica mondiale.

Livello di ambizione ridotto dell’UE

Il problema dell’UE è piuttosto il suo basso livello di ambizione nel far fronte alle problematiche attuali per tenere il passo con gli Stati Uniti e la Cina e mantenersi rilevante nel futuro. Quanto serve all’UE (e più precisamente all’Eurozona) è una soluzione globale alla crisi del debito a breve termine, l’integrazione fiscale a medio termine e un’unione più allargata e più competitiva a lungo termine. Secondo l’opinione di alcuni economisti, per la maggior parte di nazionalità non europea, l’UE  non si disintegrerà, ma è improbabile che riuscirà a risolvere in modo definitivo qualcuna di queste problematiche. Al contrario, essa raggiungerà compromessi e alla fine se la caverà in qualche modo.

Innanzitutto, le discussioni e i negoziati che condurranno al cosiddetto “grand bargain” (grande accordo), per rafforzare il fondo europeo per la stabilità finanziaria (EFSF), atteso per la fine di marzo, lasciano pensare che sarà un altro compromesso a risolvere il problema e ridare fiducia al mercato. In realtà, esso potrebbe comprendere elementi atti al salvataggio finanziario (per Portogallo e Spagna) e alla ristrutturazione del debito (per Grecia e Irlanda), ma non sarà chiamato in questo modo e sarà “diluito”, facendo in definitiva guadagnare tempo. In secondo luogo, un’unione monetaria necessita di trasferimenti erariali per funzionare correttamente, ma questa questione non è neppure presente sull’agenda di Bruxelles, anche se vi sta rientrando attraverso la porta di servizio mediante l’EFSF. L’UE potrebbe diventare più tedesca in termini di disciplina fiscale e competitività come risultato del “grand bargain”, ma anche questo sarà un compromesso e non sarà sufficientemente esauriente. Infine, e questa è la cosa più deprimente, l’UE sta vivendo il maggiore successo dell’ultimo decennio (l’allargamento dell’unione) con un’incredibile quantità di scetticismo. Pochi analisti seri hanno dei dubbi in merito ai vantaggi portati ai paesi membri, sia nuovi che vecchi, dall’allargamento, il che spiega come mai è così incomprensibile che talmente tanti leader dell’UE siano titubanti sul fatto di allargare ulteriormente l’Unione europea, in generale, e, in particolare, sull’adesione della Turchia.  La Turchia ha gestito la crisi economica in modo eccellente e i recenti disordini in Medio Oriente mostrano come la stabilità di questo paese non sia fragile, ma reale e rappresentano un elemento sul quale l’Europa dovrebbe fare affidamento se considera seriamente il fatto di essere rilevante per il mondo esterno. Se l’UE non è entusiasta di integrarsi con le potenze strategiche e in rapida crescita vicine, come ci si può aspettare che si mantenga rilevante a livello più ampio?

Il problema dell’Europa non è tanto la sua dimensione, o la crisi del debito attuale, ma piuttosto la mancanza di ambizione nel mantenersi competitiva e rilevante giocare un ruolo centrale. L’ostacolo da superare non sono i cittadini europei che protestano per le strade di Atene, Dublino e Parigi, ma i politici che fanno costantemente appello al minimo comune denominatore. Essi non dovrebbero trarre insegnamento dai politici cinesi antidemocratici o da quelli americani sempre compiacenti, ma da personaggi come Carlo Magno, Jean Monnet e Jacques Delors, campioni dell’integrazione europea. In alternativa l’Europa dovrebbe tenere in maggiore considerazione il proprio lato orientale, dove i responsabili delle decisioni politiche la sanno lunga in merito alle riforme ambiziose da realizzare sia nei periodi positivi che nei momenti di difficoltà.

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