Risparmio gestito, si attende il fisco d’inizio

 

La questione fiscale irrompe al Salone del Risparmio. Nel corso della tre giorni milanese i fari sono stati tutti puntati sul Fisco, a un mese dalla riforma delle tassazione dei fondi, ovvero della parificazione di quelli di diritto italiano con quelli esteri che scatterà dal primo luglio. Ora è arrivata, dalle parole del ministro dell’Economia Giulio Tremonti, la proposta di detassazione temporanea per le società che decidessero di venire in Italia. La promessa, dunque, sulla quale poggia il lavoro del direttore centrale per la riscossione del Ministero delle Finanze, Attilio Befera, è quella di un incentivo per l’industria da parte delle istituzioni, con tanto di accordo tra le parti sull’aliquota. Sembra concretizzarsi, insomma, quello che il Ministro aveva in cantiere già da tempo, ovvero favorire le imprese che investono e che quindi contribuirebbero, così, a rilanciare l’economia e a favorire l’occupazione. E con Milano che potrebbe fare da test per l’applicazione di regimi fiscali agevolati, stile Irlanda o Lussemburgo. Anche se, al momento, sul tavolo «c’è solo una bozza di decreto attuativo della norma europea volta ad agevolare fiscalmente chi si trasferisce o costituisce in Italia un nuovo business», commenta Luca Rossi, partner dello studio di fiscalisti Facchini, Rossi, Scarioni.

E il risparmio gestito, di conseguenza, dovrebbe essere considerata un’industria strategica in Italia attraendo così gettito fiscale nel nostro Paese, anche in seguito alla recente armonizzazione della fiscalità per gli investitori (avvenuta con il decreto Milleproroghe). L’auspicio è che entrino in Italia quelle attività insediate negli scorsi anni in Irlanda o in Lussemburgo, attraverso la costituzione di apposite sgr. Ma, a sentire gli esperti, sembra proprio che non andrà così. L’accusa viene dal mondo del risparmio gestito, secondo cui in Italia manca una politica industriale che possa permettere il rilancio dell’industria, compresa quella dell’asset management, le strutture non sono competitive nel confronto con quelle estere e c’è un eccesso di burocrazia. In ogni caso, «la nuova normativa potrebbe agevolare i nuovi operatori europei che vogliano puntare sul nostro mercato perché per i primi tre anni potranno usufruire della stessa tassazione del loro Paese», continua Rossi. E conclude: «La norma ha carattere temporaneo forse perché si vogliono prima conoscere i suoi effetti anche sul gettito. Di certo, è molto innovativa. Ma i nodi principali sono almeno due: il rischio di contenziosi fiscali (per la difficoltà di conoscere la normativa tributaria di altri stati Europei, nonché di comprendere appieno la reale portata del requisito della nuova attività economica da svolgere nel nostro Paese). Infine, il nodo dell’Irap, riguardando la nuova disciplina i soli tributi statali». 

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