Aberdeen: America Latina VS Asia, due giganti a confronto

Se in passato l’America Latina è stata identificata come una regione condizionata da sistemi politici deboli, iperinflazione ed economie fortemente dipendenti dalle materie prime e dagli Stati Uniti, ora la musica sta cambiando. Ma anche l’Asia, che continua a crescere a ritmi sostenuti offrendo spunti interessanti, grazie ai governi che continuano a ridurre le misure di incentivazione attuate negli ultimi anni aumentando i tassi di interesse e consentendo il rafforzamento delle valute. E’ il caso dunque di buttarsi sugli emergenti? La risposta è sì, almeno secondo i gestori di Aberdeen Global Asset Management, che nel corso di un evento tenutosi oggi a Milano hanno messo a confronto le prospettive di America Latina e Asia, due mercati in rapida crescita e con  fondamentali economici solidi.

Queste due regioni, sostengono gli esperti, offrono entrambe valide opportunità agli investitori che intendono ampliare i propri orizzonti  per sfuggire alla morsa della crisi finanziaria che attanaglia i mercati sviluppati.  In particolare l’America Latina – hanno spiegato Pablo Neumeyer, professore e responsabile del dipartimento di economia all’Università Torcuato di Tella a Buenos Aires, in Argentina, e Devan Kaloo, head of global emerging markets di Aberdeen e responsabile del team azionario dell’area Emea e America Latina – è riuscita a superare la crisi creditizia relativamente indenne grazie alle misure intraprese dalle banche centrali, che hanno abbandonato il regime dei cambi fissi a favore del tasso variabile e hanno iniziato ad adottare politiche di inflation targeting.

Questi miglioramenti, hanno spiegato gli esperti, non hanno interessato solo l’economia reale, ma anche il versante societario, dove i livelli di indebitamento delle imprese sono disuniti e la redditività è migliorata. “E’ da tanto tempo che investiamo in America Latina, abbiamo aperto un ufficio a San Paolo, in Brasile, che ospita in modo permanente tre membri del nostro team e visitiamo oltre 300 aziende ogni anno per poterle valutare in modo diretto seguendone da vicino l’evoluzione”, ha spiegato Kaloo. Quanto al processo di investimento adottato dal fondo Aberdeen Global – Latin American fund, ha continuato il gestore, “siamo convinti che sia importante investire nelle società e non nei Paesi”: ogni titolo preso in considerazione deve rispettare in particolare due criteri fondamentali, qualità e prezzo.

Ma è importante anche guardare alla proprietà delle aziende in questione: “le società a maggior controllo statale infatti, ha spiegato ancora il gestore, tendono a essere caratterizzate da volatilità e rischi più elevati, perché dominate da questioni politiche più che dall’obiettivo di massimizzare i profitti come quelle private”. Più nello specifico, il fondo è “sovrappesato dove troviamo delle aziende con una buona redditività: nove su dieci tra le prime posizioni di soprappeso sono titoli di società nazionali, tra cui Vale, produttore di ferro, nichel e fertilizzanti che attualmente è sottovalutata e offre uno yield interessante, e Bradesco, una banca retail messicana  con una solida posizione patrimoniale e un management conservativo.

Quanto invece al mercato asiatico, Linda Yueh, economista, giornalista televisiva e saggista, ha richiamato l’attenzione in particolare sulla straordinaria crescita della Cina, che negli ultimi 30 anni è cresciuta a ritmi del +10% all’anno e che, secondo le previsioni del consenso, vedrà raddoppiare la propria economia di qui al 2020. Certo non si tratta di ritmi sostenibili all’infinito, ha osservato l’esperta, anche perché con la crisi finanziaria del mondo occidentale il Dragone si trova costretta a rivedere il proprio modello fortemente orientato alle esportazioni e a incentivare invece lo sviluppo della domanda interna per sostenere i consumi.

Inoltre il rischio inflazionistico continua a esistere, e si porta dietro quello di una potenziale crisi bancaria, finora scongiurata grazie alle ingenti riserve in valuta estera su cui il Paese può contare. Affinché la Cina rimanga ancora a lungo il motore della crescita globale è  dunque necessario, ha spiegato Yueh, portare avanti riforme per incrementare la flessbilità, e aprirsi al resto del mondo in modo da rendere lo yuan una moneta internazionale. Se tutte queste misure saranno intraprese senza ritardi tuttavia, il Paese potrà passare da un modello basato sulle esportazioni ad uno maggiormente incentrato sui consumi e continuare così a crescere: il boom cinese è dunque senza dubbio destinato a finire, ma, secondo l’esperta, non nell’immediato.

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