Assogestioni, serve più fiducia negli investitori istituzionali

Gli italiani scelgono le obbligazioni, soprattutto emissioni di titoli bancari, mentre investono meno in azioni (prediligendo comunque quelle di società familiari e non quotate) e in fondi. Continuando a non avere una prospettiva di investimento a lungo termine e affidandosi troppo poco agli investitori istituzionali rispetto al resto dei Paesi sviluppati. E’ quanto emerge dal Factbook 2011 pubblicato da Assogestioni, in cui si parla di una situazione peculiare del mercato italiano e “preoccupante per il futuro benessere degli attuali lavoratori che, per effetto degli interventi sul sistema previdenziale pubblico varati nel passato, vedranno ridursi in maniera importante il proprio assegno pensionistico”. Secondo i dati rilevati dall’associazione, a fine 2011 gli investimenti indiretti effettuati tramite investitori istituzionali (cioè fondi pensione, imprese di assicurazione e fondi comuni) rappresentavano poco meno del 25% del portafoglio finanziario delle famiglie italiane, contro il 40-50% di Francia, Germania, Regno Unito o Usa. Una situazione che si è sviluppata nel corso del tempo: basti pensare che negli ultimi 15 anni la partecipazione a prodotti di investimento di lungo termine a carattere previdenziale o assicurativo è cresciuta molto lentamente in Italia, e che il relativo peso sul portafoglio finanziario non ha mai raggiunto livelli paragonabili a quello di altri Paesi sviluppati.

Quanto ai soli fondi comuni, evidenzia il Factbook 2011 di Assogestioni, la quota della ricchezza finanziaria investita in questi prodotti ha compiuto negli ultimi anni una parabola discendente: prima è cresciuta rapidamente fino a toccare nel 1999 un massimo storico a quota 17,2%, essendo i fondi comuni percepiti dagli italiani come unica alternativa di mercato all’intermediazione del risparmio svolta dal sistema bancario. In seguito però la quota è tornata a scendere progressivamente, attestandosi nel 2011 a un livello fisiologico intorno al 6%, e riportando così alla ribalta con particolare urgenza la questione dello sviluppo degli investitori istituzionali. Infatti, sottolinea Assogestioni, “è dal peso di questi ultimi che dipendono sia il grado di maturità dell’industria della gestione, sia soprattutto il miglioramento della qualità del risparmio finanziario delle famiglie”.

Passando dalle parole ai numeri, il rapporto mette in luce come alla fine dell’anno scorso il mercato italiano del risparmio gestito contasse masse complessive per poco meno di 940 miliardi di euro, pari a circa un quarto delle attività finanziarie delle famiglie e al 60% del Pil. Queste importanti masse di risparmio risultavano equamente ripartite tra prodotti di gestione collettiva (fondi comuni aperti e chiusi, rispettivamente il 45% e il 5% del totale complessivo) e servizi di gestione di portafoglio su base discrezionale (mandati conferiti da clienti istituzionali e retail, rispettivamente pari al 40% e al 10% del totale).Rispetto al dato di chiusura del 2010, lo scorso anno le masse sono calate dunque del 7% circa, soprattutto a causa della combinazione dei bassi rendimenti dei mercati finanziari e dell’andamento avverso della raccolta (-41 miliardi, una delle peggiori performance degli ultimi anni e inferiore solamente a quelle del 2007 e del 2008). Nel 2011 le fuoriuscite hanno interessato in modo particolare il segmento dei fondi aperti: -33 miliardi, con valori trimestrali in progressione negativa (-18 miliardi solamente negli ultimi tre mesi). Considerando l’effetto negativo delle performance, il calo delle masse si è attestato al -9%. Sorte analoga è toccata alle gestioni di portafoglio retail (deflussi per 10 miliardi, masse in flessione del 17%).

Sia pure a fasi alterne, i riscatti hanno colpito anche i mandati istituzionali, azzerando i risultati positivi d’inizio anno (+5,6 miliardi il primo trimestre, praticamente nullo il dato sull’intero anno). Per contro il segmento di mercato dei fondi chiusi – di dimensioni più ridotte e costituito in prevalenza da fondi immobiliari riservati alla clientela istituzionale – si è rivelato il più vivace in termini di raccolta (+2,4 miliardi) con un incremento pari al 3% circa delle masse gestite. Nella loro crudezza, osserva Assogestioni, “questi numeri dipingono un quadro negativo per il settore nel suo complesso. Tuttavia, la loro corretta interpretazione richiede di separare gli elementi che derivano dalla congiuntura economica generale da quelli di natura prevalentemente strutturale, che caratterizzano nello specifico il mercato del risparmio gestito”. Su questo fronte sono proseguiti nel 2011 due trend: da un lato la decelerazione della raccolta dei prodotti italiani che si confronta con l’afflusso di risparmio a favore dei fondi istituiti in altri Paesi (Lussemburgo in particolare) da intermediari appartenenti a gruppi italiani (fondi round-trip) o esteri.

Dall’altro la progressiva crescita delle gestioni di portafoglio a scapito delle gestioni collettive, al punto che nel 2010 si è assistito per la prima volta nella storia dell’industria italiana, al sorpasso delle masse gestite riferite al primo segmento su quelle del secondo. In conclusione, per l’industria italiana della gestione del risparmio i prossimi mesi si profilano cruciali per comprendere se le dinamiche registrate nel corso della della crisi si confermeranno anche nell’ambito di mercati finanziari più “normali”. In particolare, sottolinea Assogestioni, “mentre si può ritenere probabile un consolidamento della positiva tendenza a una maggiore istituzionalizzazione del mercato, per converso è molto difficile fare previsioni sulla futura dinamica di sostituzione tra fondi italiani ed esteri, che nel corso degli ultimi anni ha progressivamente impoverito la nostra piazza finanziaria, sia pure in maniera non irreversibile”. A tale proposito si rivelerà “fondamentale la capacità dell’industria italiana di cogliere le opportunità che emergeranno dalla piena entrata in vigore della direttiva Ucits IV e dalla futura evoluzione dell’assetto regolamentare in materia di distribuzione dei prodotti finanziari, sulla base dell’esito del dibattito in corso attorno alla revisione della direttiva MiFID”. Calibrata su tempi inevitabilmente più lunghi è infine la sfida della “crescita del risparmio a lungo termine, elemento fondamentale per la crescita economica del Paese e per la sua sostenibilità”.

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