Bnp Paribas IP: ripristiniamo la posizione neutra sull’azionario

IL RIALZO DELL’AZIONARIO – Dopo la performance negativa della scorsa settimana, i mercati azionari hanno ripreso a registrare dei rialzi. Tuttavia, la maggior parte dei dati economici si sono rivelati deludenti, mentre gli utili societari pubblicati negli Stati Uniti finora non sono stati particolarmente positivi. Pertanto secondo i nostri analisti non è ancora possibile individuare dei fattori in grado di trainare la ripresa. Quasi il 30% delle società incluse nell’indice S&P500 hanno pubblicato gli utili registrati nel primo trimestre e il 73% di queste ha ottenuto risultati superiori alle stime. Questo dato è lievemente superiore rispetto ai trimestri precedenti, ma è sopravvalutato a causa della recente ripresa del settore finanziario. È importante ricordare che negli ultimi tempi le stime degli utili sono state riviste al ribasso e pertanto per le imprese è stato più semplice ottenere risultati superiori alle attese.

SEGNALI DALLA BORSA
– Per quanto riguarda l’incremento delle vendite invece, le sorprese positive nel primo trimestre sono state più contenute: il 44% si colloca infatti ben al di sotto della media degli ultimi anni. Inoltre, le imprese Usa continuano a rivedere al ribasso le stime sugli utili futuri. I mercati internazionali hanno tenuto grazie al forte sostegno delle politiche monetarie, tuttavia in una prospettiva tattica di breve periodo vi sono vari fattori sfavorevoli alle azioni, come lo scarso numero delle fusioni/acquisizioni e dei nuovi collocamenti in Borsa, i rischi per la situazione dei bilanci pubblici nella zona euro, la debolezza del ciclo economico e della crescita dei profitti. Pertanto, manteniamo la posizione di sottopeso nei mercati azionari globali.

LE PRESE DI PROFITTO – Abbiamo inoltre realizzato delle prese di profitto sulla nostra posizione di sottopeso nelle azioni emergenti dopo la recente sottoperformance rispetto ai mercati dei Paesi avanzati. La crescita debole degli utili societari registrata nelle economie in via di sviluppo ci sta dissuadendo dal passare in sovrappeso in queste aree. Manteniamo una posizione di sottopeso per quanto riguarda le azioni globali, mentre nel settore obbligazionario deteniamo un sovrappeso nel debito dei Paesi emergenti denominato in valute forti e un sottopeso nei titoli indicizzati all’inflazione.

UN’ALTERNATIVA ALL’AUSTERITÀ
– Si è riacceso il dibattito tra coloro che ritengono l’austerità necessaria per risanare i bilanci e le voci che valutano che l’economia sia troppo debole per permettersi una politica di rigore: infatti le tesi di due docenti di Harvard (secondo i quali quando in un Paese il debito pubblico supera il 90% rispetto al prodotto lordo, la crescita economica si azzera) sono state messe in discussione da tre ricercatori dell’Università del Massachusetts-Amherst. Questi ultimi, infatti, hanno sostenuto che è possibile ottenere una crescita media superiore al 2% anche se il debito pubblico supera il 90% del Pil e che un debito pubblico elevato potrebbe essere il risultato piuttosto che la causa della recessione.

TRA DEFICIT E DEBITO – Questo dibattito può far sorgere dei dubbi sulla reale rilevanza del debito e del deficit pubblico. Tuttavia anche se la soglia del rapporto debito/Pil significativa per la crescita economica non fosse quella del 90%, qualora i debiti crescessero in misura eccessiva i mercati potrebbero perdere fiducia provocando una crisi. A nostro avviso i governi dovrebbero dotarsi di piani di risanamento credibili, che prevedano anche delle riforme strutturali. La crescita rappresenta la soluzione meno drastica per ridurre il fardello del debito, però è proprio quello che manca nelle economie dell’eurozona.

RALLENTAMENTO ESTIVO NEGLI USA – La crescita del Pil nel primo trimestre con ogni probabilità si rivelerà abbastanza soddisfacente: le prime stime sono attese per il 26 aprile e secondo gran parte degli analisti la crescita si collocherà al 3% su base annua. Aumentano tuttavia i segnali che inducono a prevedere un rallentamento dell’espansione, ed oltre alle flessioni degli indicatori prospettici, anche l’impatto dei recenti inasprimenti fiscali è un buon motivo per prevedere un rallentamento dell’economia. È possibile che il miglioramento del settore dell’edilizia residenziale compensi in qualche misura tali fattori negativi, ma l’effetto-ricchezza potrebbe essere più contenuto rispetto al passato.

MIGLIORA IL GIAPPONE – L’economia giapponese sembra rispondere positivamente ai provvedimenti voluti dal nuovo primo ministro Shinzo Abe: gli indicatori di fiducia e della spesa al consumo sono migliorati. L’indebolimento dello yen dovrebbe sostenere le esportazioni, tuttavia finora il Giappone sta soffrendo del cosiddetto effetto curva J: nel breve i ricavi delle esportazioni sono in calo, mentre i prezzi dei beni importati tendono a salire. Tale andamento potrebbe essere riconducibile in particolare alla crescita lenta dei partner commerciali del Giappone.

GLI EMERGENTI RESTANO DEBOLI – In Cina, la stima del pmi ha segnato una flessione, inoltre tale indicatore non è mai stato su livelli tanto bassi come quelli registrati nel mese di maggio del 2O12. In linea con le attese del mercato, la banca centrale del Brasile ha aumentato i tassi di riferimento di 25 punti base. L’economia non sta mostrando segni particolari di surriscaldamento (la produzione industriale e le esportazioni sono in calo) ma si registra un aumento del tasso d’inflazione dall’estate dell’anno scorso. Non riteniamo tuttavia l’inflazione come un problema generale delle economie emergenti. Infatti, le prospettive di un’inflazione bassa e della scarsa necessità di inasprimento delle politiche monetarie è stata una della ragioni che ci ha spinto a realizzare i profitti sulla nostra posizione di sottopeso sulle azioni dei mercati emergenti.

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