Bmo: Bce? Attenti alle mosse non convenzionali di Draghi

LE RAGIONI DELLA POLITICA ESPANSIVA – L’Europa ha sofferto diversi scossoni negli ultimi anni tra turbolenza di mercato, Stati membri sull’orlo del fallimento e un settore bancario sotto capitalizzato; da qui, i timori di deflazione e crescita negativa, spiega Rosa Fenwick, portfolio manager di Bmo Global Asset Management. Per affrontarli e stimolare la crescita, dunque, la Bce ha intrapreso un percorso ultra espansivo di politica monetaria, che include tassi di interesse negativi e un certo numero di interventi mirati a diversi settori finanziari. I più recenti dati economici dimostrano che a questo punto l’Europa potrebbe essere fuori dal guado – la crescita è in ripresa, così come vari altri indicatori economici e l’inflazione core si mantiene in territorio positivo da un certo periodo di tempo, sebbene non abbia ancora raggiunto l’obiettivo del 2%. Il messaggio della Bce è stato leggermente contraddittorio, o incoerente, ultimamente, in quanto Ewald Nowotny – il membro austriaco della BCE – ha lasciato intendere che la Banca centrale potrebbe alzare i tassi prima di avviare il processo di tapering, mentre il capo economista dell’istituto di Francoforte – Peter Praet – ha suggerito come i tassi potrebbero essere alzati solo dopo la fine del Qe. Mario Draghi – il presidente della Bce – è rimasto invece neutro sull’argomento.

SUCCESSO PARZIALE – Il programma della Bce ha avuto successo nel portare a termine parte del proprio obiettivo: ha garantito liquidità al mercato obbligazionario governativo europei e ha supportato i paesi periferici permettendo condizioni di accesso al credito più favorevoli per le obbligazioni non governative, sottolinea Fenwick. Sebbene siano stati molti i Paesi che si sono lanciati in questo di allentamento monetario per rivitalizzare le economie domestiche, la Bce ha adottato l’inusuale strategia di portare i tassi di deposito in territorio negativo. Questo tasso non si applica alle banche retail ma penalizza i mercati finanziari favorendo accumulazione di liquidità piuttosto che investimento della stessa. Ciò ha prodotto un effetto negativo sul sistema bancario, riducendo la profittabilità e assorbendo un’ampia porzione dell’offerta a più breve scadenza di obbligazioni governative. Perciò, considerando che le banche dell’Eurozona stanno riscontrando non poche difficoltà, non è da escludere che la Bce possa essere incentivata a mostrarsi più propensa a ridurre questo impatto prima di, o simultaneamente a, un processo di riduzione dell’attuale programma di QE. In sintesi, la maggior parte delle banche centrali ha adottato l’approccio secondo cui il percorso per la normalizzazione della politica monetaria porta prima alla conclusione dei programmi di QE (fattore che non significa una riduzione dei titoli attualmente detenuti), per poi solo in seguito avviare i rialzi dei tassi. L’effettivo smaltimento dei titoli detenuti dalle banche centrali entro questi programmi è stato in larga parte accantonato. Ma l’Unione europea rappresenta un caso particolare per via dei tassi negativi e delle difficoltà dei Paesi periferici ad accedere al mercato del credito. Da qui è quindi possibile che, alla luce del generale e protratto miglioramento dell’economia dell’Eurozona, la Bce possa decidere di adottare nuovamente un approccio non convenzionale alla politica monetaria e alzare i tassi in concomitanza, o addirittura prima, della conclusione del QE.

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