Assogestioni, ecco come “spingere” i fondi verso le imprese

LA DIRETTIVA – Il recepimento della direttiva sugli Alternative Investment Fund Managers (Aifm), attraverso la definizione dei fondi d’investimento alternativi italiani, potrebbe costituire l’occasione per modificare il quadro regolamentare esistente, consentendo ai prodotti alternativi al dettaglio del Belpaese modalità di investimento e operative più ampie rispetto a quelle riconosciute agli Ucits. E’ quanto siostiene Assogestioni in un editoriale pubblicato pochi giorni fa sul sito web dell’associazione. I fondi di investimento alternativi italiani al dettaglio, evidenzia Assogestioni, potrebbero così finalmente canalizzare una grande quantità di risorse verso l’economia reale e soddisfare una domanda del mercato interno costituito prevalentemente da investitori retail.

LA SITUAZUIONE ATTUALE
– Ad oggi, spiega il direttore settore legale di Assogestioni, Roberta D’Apice, le recenti misure adottate dal Governo per la crescita e lo sviluppo del Paese contengono un pacchetto di disposizioni volte a rafforzare le forme di finanziamento alternative al credito bancario per le piccole e le medie imprese. Ma tali misure non consentono ancora a un organismo di investimento collettivo del risparmio di erogare direttamente prestiti alle imprese, secondo il modello che si sta delineando a livello europeo. “Nel nostro Paese i fondi comuni d’investimento possono finanziare l’impresa solo attraverso l’acquisto o la sottoscrizione di minibond” spiega Roberta D’Apice. “In tal caso, ove si tratti di fondi aperti non armonizzati l’investimento in strumenti finanziari non quotati deve essere contenuto entro il limite del 10% delle attività. Per poter superare tale limite il fondo comune d’investimento deve necessariamente essere costituito in forma chiusa e, per poter beneficiare delle agevolazioni fiscali introdotte dal Decreto Destinazione Italia, deve essere riservato ad investitori professionali”.

COSA DOVREBBE CAMBIARE – Il recepimento della direttiva Aifm può cambiare lo scenario, ma per farlo sarebbe necessario che nel contesto nazionale il regolatore: riconoscesse la possibilità ai fondi di investimento alternativi di erogare prestiti alle imprese (come previsto, del resto, a livello europeo); innalzasse il limite del 10% per l’investimento del patrimonio di un Fia aperto in strumenti finanziari non quotati; ampliasse l’oggetto di investimento del patrimonio di un Fia aperto, includendo almeno i cosiddetti “bank loans” e, più in generale, i crediti e i titoli rappresentativi di crediti e, iinfine,  consentisse in generale l’investimento del patrimonio di un Fia aperto in quote o azioni di altri Fia fino al 100% delle attività del fondo.

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