Bnp Paribas IP, i mercati azionari internazionali piacciono ancora

SOVRAPPESATI SUI MERCATI AZIONARI INTERNAZIONALI – I mercati azionari generalmente hanno registrato dei rialzi, sospinti dai dati economici positivi in particolare negli USA e dagli ultimi risultati reddituali diffusi dalle imprese statunitensi. Lo spiega Laura Tardino, strategist di Bnp Paribas Investment Partners, nella strategia settimanale del gruppo. I profitti realizzati dalle imprese sono stati meno incoraggianti in Europa, tuttavia riteniamo che il miglioramento della crescita, l’inflazione bassa e i tassi d’interesse modesti dovrebbero contribuire a delineare un contesto positivo per le azioni anche nel Vecchio Continente. I dati rilevati dal rapporto sul mercato del lavoro negli USA rappresentano un buon esempio di notizie favorevoli, che lasciano prevedere un rafforzamento della crescita. Il notevole aumento dell’occupazione, infatti, dovrebbe incoraggiare i consumi e l’incremento delle vendite delle società, mentre le retribuzioni orarie non hanno registrato pressioni al rialzo. Pertanto, abbiamo mantenuto invariata la posizione sovrappesata nei mercati azionari internazionali. Le tensioni geopolitiche rappresentano un rischio che stiamo seguendo da vicino, ma l’allocazione degli attivi è rimasta invariata. Manteniamo dunque un sovrappeso in Europa nel segmento delle obbligazioni societarie high-yield e nel settore immobiliare. Per quanto riguarda il settore obbligazionario, riteniamo che i rendimenti siano troppo bassi in Germania, ma non ipotizziamo un rialzo in tempi brevi, poiché è probabile che la domanda di investimenti rifugio persista.

USA: NUOVI DATI CONFERMANO LA FORZA DELLA CRESCITA – I dati congiunturali pubblicati hanno fornito nuove conferme di una forte ripresa dell’attività economica rispetto alla debolezza del primo trimestre. Nell’ambito delle indagini condotte dall’ISM (Insitute for Supply Management) spiccano i nuovi ordinativi, soprattutto nel settore dei servizi. Il rapido miglioramento degli indici ISM induce a ritenere molto probabile un rafforzamento della crescita nel secondo trimestre, sostenuto dall’aumento dei consumi. Inoltre, il tasso di cambio effettivo del dollaro si attesta ancora su livelli storicamente bassi, e ciò dovrebbe consentire alle esportazioni di continuare a crescere. Il rapporto del mercato del lavoro di aprile ha mostrato due aspetti: sono stati creati 288.000 nuovi posti di lavoro (e l’occupazione creata nei due mesi precedenti è stata corretta al rialzo di 36.000 unità), ma le retribuzioni orarie medie sono rimaste sostanzialmente invariate. L’occupazione è cresciuta sensibilmente nel settore privato, e in particolare nei servizi, tuttavia nella maggior parte dei casi si è trattato di impieghi a basso salario e ciò ha fatto scendere le retribuzioni medie. D’altro canto, la costante crescita dell’occupazione, la tendenza delle retribuzioni orarie, l’inflazione modesta e il basso numero di ore lavorate a settimana indica una discreta crescita dei redditi reali in prospettiva.  Per quanto riguarda gli aspetti positivi, c’è da segnalare che il tasso di disoccupazione è sceso al 6,3%, ma tale andamento pare piuttosto riconducibile alla debolezza del mercato del lavoro: il tasso di partecipazione, infatti, è crollato al livello più basso dal marzo del 1978. Fortunatamente vi sono ancora ampi margini in questo mercato che impediscono pressioni sui salari e sui prezzi al consumo. Ad ogni modo questa deve essere seguita con attenzione: un inasprimento dei tassi da parte della Federal Reserve, infatti, potrebbe arrivare prima del previsto ma anche con un ritmo più lento. Infine, i dati rilevati dal Senior Loan Officers Survey (un sondaggio condotto dalla Federal Reseve presso i responsabili della gestione fidi) hanno mostrato che le banche hanno allentato gli standard per la concessione di prestiti commerciali e industriali, ma li hanno lievemente inaspriti per i mutui ipotecari e in misura maggiore per i mutui ipotecari non convenzionali. Anche per quanto riguarda la domanda di credito la situazione è molto simile: la forte richiesta di prestiti commerciali ed industriali di solito fa ben sperare per investimenti ed occupazione, ma per registrare un crescita di questi parametri sarebbe necessario che le imprese non impiegassero i prestiti solo per riacquistare le proprie azioni.

ZONA EURO: LA COMMISSIONE EU CORREGGE LE STIME DI CRESCITA – Nelle previsioni pubblicate questa primavera, la Commissione europea ha abbassato il dato relativo alla crescita del PIL nell’area dell’euro. Tale riduzione è riconducibile al calo delle attese d’inflazione. Riteniamo che la crescita potrebbe risultare più elevata quest’anno. L’accelerazione della crescita, che sta favorendo un ampliamento dell’occupazione, potrebbe consentire una graduale diminuzione del livello del debito degli Stati membri nel corso del 2015.  In marzo, il tasso di disoccupazione nell’area dell’euro è rimasto invariato, mentre in Germania ha registrato una flessione abbastanza rilevante. Il vigore dell’economia nel primo trimestre, tuttavia, potrebbe spiegare l’indebolimento delle commesse industriali, che forse hanno risentito anche del rallentamento della crescita in Cina e in Russia. In prospettiva, tuttavia, il miglioramento dell’attività economica nell’area dell’euro, nel Regno Unito e negli USA dovrebbe sostenere le esportazioni tedesche.  A nostro avviso, la BCE ha un compito difficile. Un’inflazione inferiore all’obiettivo fissato dalla banca centrale potrebbe rendere l’economia vulnerabile al rischio di una deflazione. Un intervento per scongiurare questa eventualità potrebbe essere prudente, ma è possibile che la BCE attenda per verificare se l’economia si sta avviando verso un pieno recupero.

MERCATI EMERGENTI: PMI IN CALO, MA L’EXPORT FA BEN SPERARE – L’indice PMI manifatturiero ponderato per il PIL elaborato dai nostri esperti per i mercati emergenti è sceso sotto quota 50 per la prima volta dal luglio del 2013. A nostro avviso tale andamento indica una crescita economica in sotto tendenza. Le flessioni in Russia, Polonia e Turchia molto probabilmente sono riconducibili alle tensioni geopolitiche, mentre i paesi esportatori di materie prime – come Brasile e Sudafrica – potrebbero aver risentito del rallentamento della Cina. È possibile che la frenata dell’economia cinese abbia penalizzato anche la Corea e Taiwan, che potrebbero avere risentito anche delle prospettive di un indebolimento dell’attività economica in Giappone. Gran parte del recente calo delle esportazioni dei paesi emergenti può essere attribuito agli andamenti economici in Cina. In particolare, questa contrazione dell’export potrebbe essere attribuita alla temporanea instabilità della domanda a cavallo delle festività per il nuovo anno in Cina ed a effetti base negativi, ma anche escludendo la Cina, le esportazioni hanno registrato solo un lieve aumento negli ultimi otto mesi. In definitiva, vi è qualche barlume di speranza, ma è troppo presto per dire se le economie dei paesi emergenti hanno raggiunto il punto di svolta.

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