Mercati emergenti: e adesso? L’analisi di Neuberger Berman

UNA RIFLESSIONE SUGLI EMERGENTI – A seguito del picco di vendite nell’ultima parte dell’anno scorso e a inizio 2014, azionario e obbligazionario dei mercati emergenti hanno visto un forte ritorno di popolarità. A inizio settembre l’indice Msci Emerging Market aveva dato un ritorno del 10,5% da inizio anno, dato che include un’impennata del 18,6% dal suo minimo di febbraio 2014. I bond emergenti, così come misurato dall’indice Jpm Gbi Em Broad, sono in positivo del 6,25%. Il capovolgimento delle sorti è stato notevole l’anno scorso in vista del tapering, momento in cui gli investitori hanno ritirato frettolosamente il loro denaro dagli asset emergenti, in particolare da quei Paesi con bilanci di previsione considerevoli e deficit nel conto delle partite correnti. A raccontare a BLUERATING cosa sta succedendo sui mercati è Matthew Rubin (nella foto), direttore della strategia di investimento di Neuberger Berman.

Quali elementi hanno determinato guadagni recenti?
I fattori più importanti sono stati un declino nei rendimenti obbligazionari globali e le migliorate condizioni di liquidità, che riflettono la possibilità di allentamento monetario aggiuntivo in Europa e una risalita dei tassi più lenta negli Stati Uniti. La ricerca di rendimento si è intensificata dai primi mesi dell’anno e ha portato i capitali verso titoli a più alto rendimento come l’obbligazionario emergente.

Le risposte fiscali e monetarie che hanno fatto seguito alla liquidazione degli asset sui mercati emergenti dello scorso anno sono state efficaci nella stabilizzazione dei flussi?
Sì. I più alti tassi di interesse locali e i miglioramenti nel bilancio dello Stato e nella bilancia commerciale sembrano aver tranquillizzato gli investitori. La crescita in Cina, che ha un impatto sostanziale sui mercati azionari emergenti, è migliorata anch’essa rispetto ai primi mesi dell’anno per effetto delle misure di allentamento varate dal governo a sostegno dell’economia. Inoltre, eventi come le elezioni in India e Brasile hanno incoraggiato le aspettative per l’attuazione di riforme lungamente attese, aiutando a portare i mercati azionari su livelli più alti.

Ci sono elementi che rendono questi guadagni azionari sostenibili?
La questione è complessa. La Cina, uno dei componenti più importanti dell’indice, ha visto un recupero dell’attività manifatturiera negli ultimi mesi; il momentum di crescita si è esaurito ad agosto e il Paese lotta contro la caduta dei prezzi degli immobili e le crescenti preoccupazioni sul fronte creditizio. Nel breve periodo gli investitori sono in attesa che il governo stimoli di più l’economia ma nel lungo termine stanno valutando se le riforme possano sostenere una transizione verso un’economia più orientata dai consumi. Riteniamo che il progetto del governo per la crescita a medio termine sia solido e che gli sforzi per sradicare la corruzione siano espressione della volontà di riforma della Cina, che potrebbe però anche portare turbolenza nel breve.

E per quanto riguarda i Bric?
Il Brasile sembra essere caduto in recessione mentre la Russia è vicina. Le elezioni presidenziali alle porte in Brasile, previste ad ottobre, sembrano aver influito in misura significativa sul rally azionario del paese della prima parte dell’anno ed hanno causato la brusca risalita delle valutazioni nonostante l’economia sia in difficoltà. Finora le riforme restano vaghe e l’umore non è dei migliori. Allo stesso tempo, il deprezzamento del rublo e le sanzioni seguite all’intervento russo in Ucraina hanno causato un crollo a piombo del mercato azionario russo pari al 18% circa negli ultimi 12 mesi (a inizio settembre 2014) facendone uno dei peggiori all’interno dell’indice. Restiamo cauti sulla Russia e riteniamo che più a lungo la crisi ucraina si trascinerà, più pesantemente ne soffrirà l’economia russa. A bilanciare in parte questo pessimismo ci sono Paesi come l’India, l’Indonesia, Taiwan e il Messico che hanno mostrato una crescita più marcata nei recenti sondaggi Pmi. Le riforme e la migliorata produttività sono alcune delle motivazioni per cui queste economie hanno avuto buone performance. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che le economie in via di sviluppo, nel loro complesso, crescano del 4,6% nel 2014, cifra che riteniamo coerente.

Confrontando gli indici, gli emergenti trattano a sconto. Quindi c’è spazio di crescita?
I mercati emergenti rappresentano economie diverse tra loro che sono in fasi diverse dei loro rispettivi cicli di business. L’azionario potrebbe a buon titolo comparire nella lista degli asset con i prezzi più interessanti. Infatti, paragonato con l’indice S&P 500, che scambia a circa 15,4 volte gli utili attesi, l’azionario emergente è scambiato ad 11,3 volte gli utili attesi, uno sconto del 26% rispetto all’indice S&P 500.

Breve e lungo termine. Cosa vede?
Se le basse valutazioni non si trasformano necessariamente in performance forti nel breve termine, crediamo rappresentino però un buon punto di partenza per una solida strategia di investimento a lungo termine. Nel breve termine vediamo potenziali rischi nella risalita dei tassi di interesse, nella crescita incostante – specialmente in Cina – e nell’escalation di incertezza geopolitica. Riteniamo comunque esistano delle opportunità visto che la crescita degli utili, che è stata una zavorra per i titoli azionari, sta ora invertendo lentamente la rotta. Dal nostro punto di vista gli investitori dovrebbero considerare l’azionario emergente come parte della loro allocazione strategica di portafoglio, che può essere attuata attraverso una gestione attiva per evitare potenziali trappole di valore o aree che appaiono a buon mercato ma che, a lungo termine, hanno prospettive in calo. Inoltre, le correlazioni tra l’azionario emergente e quello dei Paesi sviluppati, ora in peggioramento, rendono l’azionario emergente un elemento di diversificazione efficace all’interno del portafoglio.

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