Rendite finanziarie, il motivo degli aumenti

AUMENTO DELL’ALIQUOTA SULLE RENDITE FINANZIARIE – Nell’articolo dello scorso 14 marzo “Aumento delle aliquote, il silenzio delle sgr” avevamo riflettuto sul fatto che gli investitori italiani risultavano tra i più tassati in Europa anche prima dell’aumento sulle rendite finanziarie al 26% in vigore dallo scorso luglio, a causa dell’imposta patrimoniale dello 0,2% annuo che non ha eguali in Europa. Spiegavamo inoltre l’inopportunità di definire rendite, facendo presagire ad un privilegio non meritato, i guadagni delle famiglie sul capitale accantonato che, in quanto sovente risultato del lavoro, è già stato tassato con le elevate aliquote nella fase della sua creazione. Per il governo l’aumento delle aliquote al 26% aveva l’intento di raccogliere risorse colpendo i presunti speculatori. Il decreto fu approvato senza che nessun partito politico o rappresentante istituzionale invitasse a riflettere sugli effetti distorsivi e disincentivanti del provvedimento, in un paese celebre per la cronica fuga di capitali all’estero.

ASSOGESTIONI NON ALZA LA VOCE – In tale scenario Assogestioni, associazione che più di ogni altra avrebbe potuto instaurare un dialogo con il governo, si limitava ad auspicare che “il termine rimodulazione non sia stato usato a caso e che il provvedimento non si traduca in un mero aumento dell’aliquoAnteprimata d’imposta dal 20% al 26%, andando a gravare in maniera importante sui piccoli risparmiatori, ma che costituisca l’occasione per introdurre anche in Italia i piani individuali di risparmio, forme di incentivo al risparmio di lungo termine che vigono negli paesi europei e le cui linee guida sono state definite già nel 2011, rimanendo finora solo sulla carta”.

AUMENTA LA TASSAZIONE SUI FONDI PENSIONE
– Siamo ora di fronte al probabile aumento della tassazione sui fondi pensione, dall’11,5% (già aumentato lo scorso luglio dall’11%) al 20%, dopo che per anni i precedenti governi hanno cercato giustamente di incentivare il secondo pilastro della previdenza complementare. Eccezion fatta per qualche commento derivante dal movimento sindacale, che tuttavia risulta maggiormente coinvolto a discutere in merito al job act, anche questo incremento è destinato ad essere approvato senza che i detentori dei fondi pensione abbiano modo di tutelare i propri diritti e discutere degli effetti del provvedimento con il governo.
Gli aumenti della tassazione, ed ancora di più l’assenza di dibattito in merito all’adozione dei suddetti provvedimenti, porta inevitabilmente a riflettere sull’attuale grado di rappresentanza di cui godono i risparmiatori italiani.

NESSUNO REAGISCE – La posizione di Assogestioni è stata sopra esposta e a distanza di sei mesi non si rileva nessuna iniziativa. Gli istituti di credito si trovano a dover affrontare sfide importanti nel contesto istituzionale europeo (passaggio della vigilanza alla Bce, possibile QE da parte della Bce, adozione di Basilea 3) e comunque possono avvantaggiarsi da un aumento delle aliquote, offrendo ai clienti costose soluzione per l’ottimizzazione fiscale, in primis polizze unit linked. Le società di gestione sono potenzialmente danneggiate dall’aumento delle aliquote per i minori incentivi che i clienti hanno nel destinare soldi ad asset rischiosi, e in particolare per quelle maggiormente attive nei fondi corporate bond risulta difficile competere con i titoli governativi assoggettati alla vecchia aliquota del 12,5%. Tuttavia anche da parte delle case di gestione non vi è stata nessuna presa di posizione in merito agli aumenti delle aliquote. Nel corso degli ultimi anni il mercato italiano è caduto in mano alle società estere, un fenomeno che se da un lato ha portato ad un incremento nella qualità e diversificazione dei prodotti ha ridotto ulteriormente la possibilità di rappresentanza nel dibattito politico da parte dei risparmiatori. Infatti le società di gestione estere mantengono nel proprio paese di origine tutte le attività core ed in Italia, per quanto significativa posso essere stata la raccolta, vengono lasciati ruoli di vendita ed assistenza alla clientela. Risulta quindi sconveniente e di difficile realizzazione, per i team italiani delle società di gestione estere, instaurare un dibattito con il governo, così come spronare le associazioni di categoria ad una maggiore rappresentanza in sede politica.

LE SGR ITALIANE SONO L’UNICA SPERANZA DEI RISPARMIATORI – Per coloro che avessero ancora dubbi sull’importanza di avere un’industria nazionale, lo splendido libro “23 cose che non ti hanno mai detto sul capitalismo”, scritto da Ha-Joon Chang, edito da il Saggiatore, ben spiega che “malgrado la crescente transnazionalizzazione del capitale, molte imprese transnazionali restano imprese genuinamente nazionali che fanno operazioni internazionali: esse gestiscono gran parte delle attività principali, come l’alta ricerca e la strategia, nel paese di origine da dove vengono quasi tutti i suoi alti dirigenti”, lasciando al “paese d’origine riceve il grosso dei benefici derivanti dall’impresa”. Ne consegue che la più concreta speranza che i risparmiatori possono avere è costituita dalle società di gestione italiane, che sebbene singolarmente non abbiano i mezzi per iniziare un confronto politico per concrete riforme, in primis forme di incentivo al risparmio di lungo termine, in maniera congiunta possono ancora dialogare in maniera costruttiva con il governo.

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