Indagine Intesa, gli italiani riscoprono il gestito, ma non si occupano di previdenza

AUMENTANO GLI INVESTIMENTI IN RISPARMIO GESTITO – C’è meno incertezza tra le famiglie italiane e nel 2015 i risparmiatori crescono del 5% rispetto al 2012. Cresce anche il risparmio gestito tanto che negli ultimi due anni la percentuale degli investitori è passata dal 9 al 12%. Inoltre, è possibile stimare che dal ceto medio provenga un flusso di risparmio annuale di 25 miliardi. È quanto emerge dall’Indagine sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2015 presentata a Torino , un progetto del Centro Einaudi e di Intesa Sanpaolo (nella foto, il grattacielo del gruppo a Torino), basato su interviste effettuate da Doxa fra gennaio e febbraio 2015 a 1.076 famiglie detentrici di conto corrente bancario e/o postale; all’interno della famiglia è stato intervistato il principale decisore in merito a risparmio e investimento, ossia la persona più informata e interessata circa gli argomenti trattati nel questionario (nel 77% dei casi, il capofamiglia).

COME SI È SVOLTA L’INDAGINE – Il campione selezionato è rappresentativo per classi d’età, professioni, titoli di studio e zone geografiche. L’indagine, che permette confronti temporali dal 1983 a oggi, affronta ogni anno un tema monografico: nel 2015 l’attenzione si è concentrata sul ceto medio, con un campionamento addizionale di 332 interviste, poi elaborato unendolo agli intervistati del ceto medio appartenenti al campione principale (386). I risultati sono stati analizzati e discussi da Salvatore Carrubba, presidente del Centro Einaudi, Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo e dall’economista Giuseppe Russo, curatore dell’indagine. Le conclusioni sono state affidate a Gian Maria Gros Pietro, Presidente del Consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo.

MENO INCERTEZZA
– La svolta del 2015 è per lo più dovuta alla riduzione dell’incertezza che congelava le decisioni delle famiglie. Nonostante la ripresa appaia nell’andamento di numerose variabili reali, nell’edizione di quest’anno dell’indagine prevalgono ancora la cautela e la prudenza: la percezione dei miglioramenti deve ancora trasmettersi in pieno alle famiglie e trasformarsi in decisioni di spesa, come dimostrano gli andamenti del risparmio e dei consumi. Il contributo più positivo al potere d’acquisto dei risparmiatori del 2014 è venuto dai mercati finanziari, che hanno generato nel 2014 un aumento del rendimento totale della ricchezza finanziaria investita pari al 9% (3% nei primi quattro mesi del 2015). Anche in forza dei sacrifici fatti nel passato, i risparmiatori italiani possono contare su un ammontare medio della ricchezza finanziaria pari a 3,4 volte il reddito disponibile (moltiplicatore che è superiore sia al 3,2 della Francia, sia al 2,9 della Germania; elaborazioni su dati Eurostat).

UNO SGUARDO AL REDDITO – Quanto al reddito, l’indagine conferma che si è quasi arrestata la tendenza a dichiararlo in calo rispetto alle necessità del tenore di vita. Aumenta però ancora, tra il 2014 e il 2015, la percentuale di coloro che segnalano un reddito “appena sufficiente”; in altri termini, si registra nel 2014 un piccolo aumento della porzione del campione in difficoltà ad arrivare alla fine del mese. Nel 2015 il numero di soggetti completamente indipendenti dal punto di vista finanziario si mantiene pressoché ai livelli del 2014 (circa 86%).  Nel confronto con l’anno passato, si rileva un peggioramento della situazione per le donne e per le fasce d’età più giovani (meno di 25 anni).

RISPARMIO E PENSIONI – Se è ancora elevata la quota di famiglie che è costretta dalla crisi a ridurre il proprio tenore di vita (51%, dal picco del 56% nel 2013), una percentuale quasi identica lo fa per motivi precauzionali, confermando una ripresa di controllo del proprio bilancio. Quello esaminato si conferma un campione di risparmiatori: il 62% dei soggetti intervistati ritengono il risparmio “indispensabile” o “molto utile” (94% se includiamo coloro che lo giudicano “abbastanza utile”). Sta di fatto che nel 2015 c’è un progresso dei risparmiatori di ben 5 punti percentuali rispetto al 2012 (l’anno peggiore della crisi finanziaria italiana): dal 38,6 al 43,7%. Chi risparmia avendo in mente uno scopo preciso, lo fa principalmente per cautelarsi da eventi imprevisti (48%). I figli sono al secondo posto, citati dal 23% dei risparmiatori mentre la casa è al quarto, indicata solo dal 9%. Al terzo posto c’è il risparmio per la vecchiaia: lo cita il 19% dei risparmiatori. Un terzo di coloro che risparmiano per la vecchiaia lo fa per l’assistenza medica: è dunque ridotto il numero di coloro che risparmiano per una motivazione generica legata al reddito nell’età anziana. Sul fronte delle aspettative pensionistiche, il saldo tra i giudizi di sufficienza e non sufficienza del reddito atteso è pari al 18% del campione: un valore che non si riprende dopo la crisi, pur avendo toccato il 12% nel 2013, essenzialmente perché solo una quota relativamente ridotta di intervistati dichiara di avere sottoscritto una forma di previdenza di secondo o terzo pilastro (una larga parte sostiene di non avere liquidità sufficiente per affrontare questa copertura aggiuntiva). Per molti italiani, la previdenza integrativa resta un tema “scottante” perché non ancora affrontato in termini materiali, nonostante la consapevolezza diffusa che il tasso di rimpiazzo del reddito da parte delle pensioni future sarà basso (58 per cento, secondo la stima soggettiva del campione intervistato).

FLUSSO DI 25 MLD –
In base ai risultati dell’indagine, è possibile stimare che dal ceto medio provenga un flusso di risparmio annuale di 25 miliardi, cui si debbono aggiungere i flussi derivanti dal reinvestimento delle cedole, dei dividendi e dei capital gain realizzati. Nell’allocazione di questi 25 miliardi, il rendimento di breve periodo e la crescita del capitale vengono per il ceto medio dopo la sicurezza e la liquidità e, insieme, assommano a solo il 28% dei desiderata degli investitori (più o meno come nel 2007).

POCHI E EVOLUTI QUELLI CHE INVESTONO IN EQUITY – Sul fronte del mercato azionario gli investitori italiani, più volte provati da variabilità dello scenario macroeconomico e della fiducia, hanno acquisito negli ultimi anni un atteggiamento sempre più prudente: se nel 2012 il 12,5% degli intervistati dichiarava di aver comprato o venduto azioni nel corso degli ultimi cinque anni, nel 2015 la percentuale scende al 7,5%, pur a fronte di un piccolo aumento di coloro che hanno operato sui mercati azionari negli ultimi dodici mesi. Come dire che, forse, una certa attrattiva Piazza Affari torna a presentarla, ma solo dal 2015.

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