Fondi, Ethenea: gli effetti della Cina si sentiranno ancora a lungo

I mercati continuano a risentire della situazione in Cina, nei mercati emergenti in genere, dei prezzi delle materie prime e del possibile intervento della Fed. “Quella del 2015 è stata un’estate molto ‘calda’ sui mercati finanziari e domani sarà un giorno interessante, in relazione a quello che deciderà di fare la Fed sul fronte dei tassi. Noi abbiamo cercato di essere il più possibile difensivi e stabili in presenza di mercati così complessi, considerando una massiccia volatilità”. A parlare, durante la conference call con gli analisti sui risultati del gruppo del terzo trimestre 2015, è Yves Longchamp (nella foto), capoeconomista di Ethenea (società di gestione indipendente, con oltre 13,58 mld di euro in gestione). In effetti, i tre fondi bilanciati a gestione attiva Ethna-Defensiv, Ethna-Aktiv e Ethna-Dynamisch hanno (chi più chi meno) tenuto la rotta: da inizio anno a oggi hanno segnato, rispettivamente, 0,73%, -0,09% e 3,81% con una volatilità annualizzata pari a 2,47%, 4,74% e 5,73%. Gli stessi fondi, però, dal lancio hanno performance molto interessanti: 56,34%, 173,26%, 56,8%. E ora? Continua l’esperto: “in prospettiva si delineano due potenziali sviluppi. Il primo vede un ulteriore apprezzamento del dollaro con o senza un rialzo dei tassi entro l’anno a opera della Fed, nel qual caso l’attuale processo di ribilanciamento continuerà portando a un abbassamento dei prezzi delle materie prime e dei prodotti finiti, a una crescita globale debole e a un tasso d’inflazione contenuto, tutti fattori che eserciteranno nuove pressioni al ribasso sulle divise direttamente o indirettamente legate al dollaro”. Intanto, i paesi emergenti con debiti denominati in dollari «verranno penalizzati, segnalando un chiaro rischio al ribasso per la crescita e le attività finanziarie», precisa. Nel secondo, l’euro si rivaluta nei confronti del dollaro come accaduto nelle ultime settimane, imprimendo slancio alla crescita globale, interrompendo la flessione dei prezzi delle commodity e contenendo la svalutazione competitiva tra i vari paesi. Nonostante le turbolenze delle ultime settimane, l’euro si è stabilizzato intorno a quota 1,10 contro il dollaro, nonostante di recente sia divenuta più probabile l’ipotesi di un rialzo dei tassi da parte della Fed domani. «Se diamo per buono l’argomento con minor resistenza, un cambio eur/usd a quota 1,20 o maggiore, migliorerebbe le prospettive globali senza compromettere in maniera rilevante la ripresa europea, mentre la parità o un livello inferiore avrebbe conseguenze drammatiche”, sottolinea.

Tutto dipende dal dollaro – L’economia cinese sta catturando molta dell’attenzione riservata alla Grecia un paio di settimane fa. “A nostro avviso, la forza del dollaro Usa è la chiave per comprendere gli ultimi sviluppi. Di contro, un indebolimento del biglietto verde rappresenterebbe uno stimolo molto efficace per la crescita mondiale», continua Guido Barthels, cio di Ethenea Independent Investors Sa. In altre parole, il prezzo cardine attorno al quale orbitano le turbolenze dell’economia mondiale e dei mercati finanziari è il dollaro. «I dati Usa avallano l’ipotesi secondo cui il dollaro forte non danneggia più di tanto la prima economia mondiale. Su tali premesse, un incremento dei tassi domani resta probabile», dichiara Barthels. D’altro canto, “il dollaro è troppo costoso per il resto del mondo, con l’unica eccezione dell’Europa, la cui economia cresce stabilmente. Inoltre, la cospicua quantità di debito denominato in dollari emesso dalle economie emergenti risente del vigore del dollaro e c’è il rischio di una crisi del debito in queste regioni. La decisione della Fed acquista quindi rilevanza poiché l’innalzamento dei tassi tende ad andare di pari passo con l’irrobustimento della valuta. Dato l’incremento dei tassi è ampiamente previsto, che sia domani o più avanti, ci aspettiamo che abbia un impatto limitato sul dollaro”.

Positivi (anche se con prudenza) sulle azioni di Usa e Europa – “Siamo positivi su Usa e Europa dal punto di vista azionario anche se gli utili, in parecchi casi, stanno scendendo”, sottolinea Peter Steffen, portfolio manager  del gruppo. “Le società a cui guardiamo sono quelle che beneficiano di un incremento dei consumi interni e delle esportazioni nette e non tanto dall’esposizione ai mercati emergenti che ora, complice il calo dei prezzi delle commodity, stanno soffrendo. Consumi e pharma sono i preferiti». La posizione macro dei portafogli, in linea di massima, da giugno a oggi, non è molto cambiata, nonostante la burrasca delle ultime settimane. A cambiare, per tutti e tre i fondi, è l’esposizione al dollaro che è stata incrementata e il cash che, in alcuni casi è aumentato per avere liquidità da usare nel futuro. Sulle obbligazioni corporate americane il gruppo resta positivo dove però «è bene tenere corta la duration. Sul fronte del debito governativo europeo, invece, l’esposizione è molto limitata se non assente», precisa Steffen. Del resto, i rendimenti obbligazionari quest’anno sono stati bassi e da inizio anno i rendimenti sono pressoché piatti. Conclude: “i fondamentali delle obbligazioni corporate restano nel complesso positivi. Ci sono opportunità in alcuni segmenti del mercato obbligazionario grazie alle valutazioni interessanti. Forse questo non è il momento giusto per rientrare nei mercati emergenti o nel segmento high yield, ma se la Fed alza i tassi e i prezzi delle materie prime si stabilizzano, potrebbe essere il momento di fissare in portafoglio rendimenti che difficilmente per diversi anni potremo trovare nelle fasce con rating più alto dei mercati obbligazionari”.

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