Più probabile a dicembre l’aumento dei tassi da parte della Federal Reserve

POSITIVI I DATI SUL MERCATO DEL LAVORO USA – “Il rapporto sul mercato del lavoro del mese di ottobre è stato abbastanza positivo, ed è quindi probabile che la Federal Reserve non cambierà l’obiettivo di un rialzo dei tassi nel mese di dicembre. Si tratterebbe del primo rialzo negli USA da quasi dieci anni partendo da quota zero, mentre, sempre a dicembre, la BCE dovrebbe ulteriormente ampliare l’allentamento monetario”, spiega Joost van Leenders, chief economist del Team Multi Asset Strategy di Bnp Paribas IP. “Nell’ambito dell’allocazione degli attivi, abbiamo accentuato l’esposizione verso le azioni europee delle società a bassa capitalizzazione: Al momento deteniamo dunque una posizione sovrappesata nel segmento delle small-cap europee rispetto alle large-cap ed al settore immobiliare, sia negli USA che livello globale”.

LIEVE CALO PER LA DISOCCUPAZIONE – “Il rapporto sul mercato del lavoro di ottobre ha rilevato un aumento degli impieghi molto più consistente rispetto alle attese e il più alto registrato nel corso di quest’anno”, commenta van Leenders. “Tuttavia il tasso di disoccupazione ha fatto segnare solo un lieve calo a causa dell’incremento della forza lavoro. Ad ogni modo, il mercato è in ripresa, come conferma l’incremento e della media di ore settimanali lavorate e delle ore di straordinario. I datori di lavoro hanno aumentato le ore per i dipendenti già in organico prima di effettuare nuove assunzioni. L’irrobustimento del mercato del lavoro si evince anche dall’andamento delle retribuzioni medie orarie, che hanno registrato l’incremento mensile più netto dal mese di gennaio, mentre le paghe orarie nei settori non agricoli hanno beneficiato dell’aumento più netto dal 2009″.

IN VISTA IL RIALZO – “L’indice NFIB, che misura la fiducia della piccole imprese, è rimasto invariato ad ottobre: questo indicatore si colloca ancora al di sotto dei livelli osservati nelle fasi di espansione, ma tale andamento è in linea col il modesto tasso di crescita degli USA. Tuttavia le piccole imprese dichiarano ancora di essere intenzionate ad effettuare nuove assunzioni e ad alzare i salari: al momento pare che per le aziende sia più difficile trovare del personale qualificato che ottenere credito. A nostro parere, i dati positivi in arrivo dal mercato del lavoro, hanno fatto crescere le probabilità di un incremento dei tassi della Federal Reserve del mese di dicembre. Eric Rosengren, il presidente della Federal Reserve di Boston – noto per il suo orientamento espansivo – ritiene probabile che l’inflazione torni vicino all’obbiettivo del 2% fissato dalla Fed e che gli Stati Uniti stiano andando verso la piena occupazione. Se anche gli esponenti della Federal Reserve più favorevoli alle politiche espansive ritengono che banca centrale stia raggiungendo gli obiettivi, solo un notevole peggioramento dei dati economici potrebbe evitare un intervento sui tassi a dicembre”, sottolinea van Leenders.

CINA: UN QUADRO IN CHIAROSCURO – Per il gestore “i dati in arrivo dalla Cina hanno delineato un quadro in chiaroscuro. Sul fronte delle buone notizia, spicca l’aumento delle vendite al dettaglio nominali per il terzo mese consecutivo e, grazie al rallentamento dell’inflazione complessiva, questo incremento è anche lievemente più elevato in termini reali. I consumi dunque stanno tenendo abbastanza bene, a differenza dell’industria: la crescita della produzione industriale ha rallentato sino a livelli osservati l’ultima volta negli anni 2008/09. L’industria pesante ha continuato ad incontrare delle difficoltà mentre le imprese orientate ai consumi sono andate meglio, come indica la produzione di autovetture che è risultata la più alta degli ultimi sette mesi. Anche l’andamento degli investimenti fissi ha frenato a causa del rallentamento della crescita della spesa per le infrastrutture, mentre gli investimenti nei settori manifatturiero e immobiliare sono rimasti bassi rispetto alle medie storiche”.

EFFETTI DEFLATIVI – “La frenata dell’economia cinese ha avuto effetti deflativi”, chiarisce van Leenders. “Infatti, sia l’inflazione complessiva che il tasso al netto di alimentari e servizi hanno rallentato, mentre i prezzi alla produzione continuano a crollare. Tali andamenti si riverberano anche nel resto dell’Asia, come mostra il calo dei prezzi all’esportazione registrato in Corea del Sud. Nel complesso, quindi il rallentamento della crescita sia in Cina che in altre economie asiatiche, potrebbe esercitare pressioni deflative anche a livello globale. Negli Stati Uniti, l’economia interna dovrebbe essere abbastanza robusta per compensare tali effetti, mentre nell’area dell’euro vi sono più dubbi, tenuto conto della disoccupazione elevata. In Giappone, la disoccupazione è abbastanza bassa da consentire qualche aumento salariale, sebbene i recenti incrementi, potrebbero non bastare a compensare gli effetti inflativi importati dall’estero”.

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