Bnp Paribas IP: Recessione negli Usa? Timori infondati

CLIMA DI MERCATO SFAVOREVOLE – “Nel corso della settimana il clima di mercato è rimasto decisamente sfavorevole. Gli indicatori congiunturali, nel complesso, non sono particolarmente deboli, tuttavia le turbolenze dei mercati finanziari e l’inasprimento delle condizioni creditizie hanno fatto sorgere nuovi dubbi sulla sostenibilità della crescita a livello globale e sull’efficacia delle politiche monetarie. In Giappone, lo yen si è rafforzato grazie all’afflusso di capitali in cerca di un approdo sicuro, che sono arrivati malgrado la recente decisione della Banca del Giappone di portare i tassi in territorio negativo”, spiegano Joost van Leenders, chief economist del team Multi Asset Strategy, e Colin Graham, cio e responsabile TAA, multi asset solutions di Bnp Paribas Ip. “Nell’area dell’euro, i titoli del settore bancario sono stati duramente puniti dai mercati, che temevano per la redditività delle banche penalizzata da tassi d’interesse troppo bassi. Queste condizioni finanziarie sfavorevoli potrebbero offuscare in certa misura le prospettive di crescita, ma secondo noi l’economia mondiale non è sull’orlo di una recessione”.

USA: SI TEME UNA RECESSIONE – “La crescita debole nel quarto trimestre e l’arrivo di dati economici contrastanti hanno alimentato le speculazioni di mercato sul pericolo di una recessione negli USA. I nostri analisti si sono interrogati sulla fondatezza di tali timori: ebbene, in genere le recessioni sono causate da shock economici, come un’impennata del prezzo del greggio, una rapida risalita di inflazione e tassi d’interesse, oppure dallo scoppio di una bolla creditizia o dall’esaurirsi dei cicli economici”, sottolineano van Leenders e Graham. “Al momento, se è vero che la caduta del prezzo del greggio ha messo in difficoltà le società del settore energetico ed ha provocato un crollo degli investimenti, bisogna comunque rilevare che tale andamento ha avuto effetti positivi sui costi dei consumi di imprese e famiglie. Quasi l’80% degli incrementi di reddito registrati dalle famiglie a partire da luglio del 2014 sono stati spesi, ma sarebbe giusto aggiungere che i consumatori sono diventati più cauti. Attualmente l’inflazione è bassa. L’inflazione di fondo dei prezzi alla produzione è solo lievemente positiva, mentre i prezzi dei beni esportati e importati si collocano stabilmente in territorio deflativo. D’ora in poi, è probabile che la Federal Reserve innalzerà i tassi molto gradualmente e i mercati hanno già scontato nei prezzi tutti gli inasprimenti monetari attesi per quest’anno. In effetti, l’ampliamento degli spread, il calo delle azioni e il rafforzamento del dollaro hanno già contribuito a inasprire le condizioni creditizie. Le banche hanno reso più severi i criteri per la concessione di prestiti alle imprese, mentre per le famiglie le condizioni non sono peggiorate, e i tassi sui mutui ipotecari sono vicini ai minimi storici”, aggiungono i due gestori. “I nostri analisti hanno tentato di individuare eventuali segnali di una bolla creditizia. Tuttavia, l’indebitamento delle società e le emissioni di nuove obbligazioni – in particolare di titoli high-yield – hanno frenato. Inoltre, sia per le famiglie sia per le imprese, il rimborso degli interessi non è gravoso rispetto al flusso di cassa e al reddito generato, mentre gli indici di leva – ossia il rapporto tra debito e attivo – si attestano su bassi livelli. Il debito totale è alto rispetto al PIL, circostanza che rende l’economia USA (e molte altre) vulnerabile in caso di brusco rialzo dei tassi, ma questa è esattamente la ragione per cui la Federal Reserve probabilmente aumenterà in modo molto graduale il costo del denaro. Per quanto riguarda il ciclo congiunturale, in media le fasi di espansione nel dopoguerra sono durate circa cinque anni. È vero che l’attuale fase di crescita sta durando da sei anni e mezzo, ma è venuta dopo una recessione più profonda rispetto alle precedenti e la ripresa successiva è stata più lenta. Pertanto, i nostri esperti ritengono che l’economia non abbia ancora raggiunto i limiti di espansione: l’occupazione presenta ancora margini di miglioramento, gli investimenti societari si attestano chiaramente al di sotto dei massimi storici rispetto al PIL e le vendite di abitazioni registrano un ritardo sull’aumento della popolazione”.

TIMORI INFONDATI
– “Insomma, gli ultimi indicatori economici non segnalano una recessione. Alcuni dati relativi all’occupazione hanno evidenziato un maggior dinamismo del mercato del lavoro: in particolare un aumento di posti vacanti, più assunzioni e dimissioni volontarie e un calo dei licenziamenti. Inoltre, il numero di posti disponibili per disoccupato non è lontano dai massimi storici. L’indice di fiducia delle piccole imprese si è nettamente indebolito, ma la flessione di questo indicatore non è abbastanza netta da segnalare una recessione. In effetti, i nostri analisti hanno elaborato un semplice indicatore di recessione basato su 10 serie di dati, e questo indicatore segnala solo il 10% di probabilità di una recessione. Per segnalare una recessione almeno 4 delle 10 serie devono dare un segnale rosso, anche se va detto che le capacità predittive di tale indicatore composito potrebbero risultare limitate”, sostengono van Leenders e Graham.

ZONA EURO: LA GERMANIA PENALIZZATA DALLA DEBOLE CRESCITA GLOBALE – “In dicembre la produzione industriale in Germania è scesa per il secondo mese consecutivo, facendo scivolare il settore manifatturiero in una fase di recessione tecnica, dopo le contrazioni registrate nel terzo e nel quarto trimestre. I dati relativi all’interscambio commerciale della Germania sono poco brillanti, ma c’è un dato positivo: le commesse del settore manifatturiero nel quarto trimestre sono salite e dunque questa fase di debolezza potrebbe essere superata. Inoltre, malgrado questo settore sia molto importante per la Germania, prevediamo che i fattori legati all’economia interna compenseranno la frenata del settore manifatturiero. Infine, la disoccupazione è bassa, il mercato della casa è vivace e gli ordinativi per la produzione di beni di consumo sono aumentati a dicembre”, aggiungono van Leenders e Graham. “L’aumento dei prezzi al consumo nell’area dell’euro naturalmente è modesto e le attese d’inflazione hanno continuato a scendere, precipitando al di sotto del mimino registrato a gennaio dell’anno passato. Considerato il rischio di attese d’inflazione non ancorate in modo duraturo in un contesto di bassa crescita, la sola riduzione del tasso di deposito della BCE potrebbe non essere sufficiente per tranquillizzare i mercati, dunque prevediamo che vi sarà anche un aggiustamento del programma di acquisto di attivi”.

ALLOCAZIONE DEGLI ATTIVI: RIDUZIONE DEL RISCHIO – “Al fine di limitare l’esposizione al rischio, abbiamo liquidato la posizione sovrappesata nelle obbligazioni societarie europee high-yield. Il rendimento dei titoli high-yield europei attualmente è vicino al 6%, mentre negli USA queste obbligazioni rendono quasi il 10%. A nostro avviso negli USA, dove abbiamo mantenuto il sovrappeso, i rischi d’insolvenza riflessi nelle quotazioni sono troppo elevati. In effetti, la convergenza dei rendimenti potrebbe determinare una sottoperformance relativa del segmento high-yield europeo, che potrebbe essere penalizzato anche in misura maggiore dai rischi geopolitici, in particolare alla luce delle valutazioni più elevate. I fondamentali di mercato sono sostanzialmente neutri, e dunque resta invariato il sovrappeso nelle azioni dei paesi avanzati. Malgrado le recenti correzioni, guardiamo negativamente alle valutazioni di mercato, come pure alle prospettive degli utili societari. Le politiche monetarie, invece, a nostro avviso sono positive, anche se i mercati sembrano pensarla diversamente”, precisano i due gestori. “Nel suo ultimo intervento di fronte al Congresso degli Stati Uniti, il presidente della Federal Reserve, Yellen, ha avuto un compito difficile: tentare di correggere la percezione che l’incremento dei tassi deciso dalla banca centrale a dicembre avrebbe potuto rivelarsi un errore. Il suo discorso è iniziato in tono positivo, sottolineando che la Federal Reserve rileva un’economia interna abbastanza forte, frenata solo dalla modesta crescita globale e dalla forza del dollaro. Bisogna ricordare che già nel settembre scorso la banca centrale aveva evitato di inasprire i tassi a causa dei timori per la debolezza dell’economia a livello internazionale. Nel complesso, pare che la Federal Reserve stia tenendo aperte tutte le opzioni, tuttavia riteniamo che – tenuto conto di una crescita inferiore alle attese, della situazione incerta a livello internazionale e dell’inasprimento delle condizioni creditizie per il settore societario – a marzo non vi sarà un nuovo giro di vite sui tassi. Nell’area dell’euro, gli investitori sono alla ricerca di indizi utili in vista della prossima riunione del Consiglio direttivo della BCE prevista per marzo, mentre in Giappone il recente taglio dei tassi non ha avuto effetti duraturi”.

MERCATO: NESSUN RIBASSO STRUTTURALE – “Dunque, al momento i tassi d’interesse sono generalmente bassi, la Banca del Giappone e la BCE stanno espandendo i loro bilanci attraverso l’allentamento quantitativo e una lunga pausa nel recente ciclo d’inasprimento dei tassi USA pare molto probabile. Inoltre, un aumento del volume di attivi acquistati dalla Banca del Giappone potrebbe favorire un’accelerazione della domanda di titoli sui mercati azionari. Riteniamo che le prospettive economiche a livello globale siano neutrali per le azioni. Come detto, escludiamo che gli USA stiano scivolando in una recessione, e probabilmente gran parte degli operatori di mercato condivide questa valutazione. L’attuale margine di ribasso rispetto ai massimi degli indici azionari si attesta al 13% mentre di solito alla vigilia di una recessione le quotazioni perdono almeno il 30%. Pertanto i nostri analisti escludono che il mercato sia orientato strutturalmente al ribasso e ritengono piuttosto che le quotazioni continueranno a oscillare in un intervallo di prezzo. Tale situazione, in generale, sembra più favorevole per le posizioni tattiche di breve periodo”, concludono van Leenders e Graham.

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