Bnp Paribas IP: I dati macroeconomici annullano l’effetto positivo delle politiche monetarie

IL CLIMA E’ CAMBIATO – “Dopo un paio di settimane positive per gli strumenti finanziari a maggior rischio, la settimana scorsa il clima di mercato è cambiato, soprattutto a causa dei dati macroeconomici pubblicati e, in una certa misura, della politica monetaria”, spiega Joost van Leenders, chief economist del team Multi asset solutions di Bnp Paribas Ip. “Nel quadro della distribuzione degli attivi, rimasta complessivamente prudente, abbiamo portato in sovrappeso le azioni di USA e Giappone rispetto ai titoli europei e abbiamo realizzato i profitti maturati sulla posizione sovrappesata nei segmenti delle small cap europee e delle obbligazioni societarie Usa”.

DIVERGENZA DELLA CRESCITA: FENOMENO TEMPORANEO? – “Nel corso del primo trimestre la crescita del PIL ha rallentato negli USA, mentre ha registrato una lieve accelerazione nell’area dell’euro. Dopo la pubblicazione degli ultimi dati relativi alla fiducia di imprese e famiglie, al mercato dell’edilizia residenziale e agli ordinativi per i beni di consumo durevoli, tendiamo a escludere che la crescita negli USA possa rivelarsi particolarmente robusta nei prossimi trimestri. È probabile che il livello elevato delle scorte di magazzino freni l’attività del settore industriale, ma la crescita del PIL dovrebbe comunque registrare una ripresa rispetto allo 0,5% registrato nel primi tre mesi dell’anno su base trimestrale annualizzata. Secondo l’indicatore cha abbiamo elaborato per prevedere le tendenze economiche a brevissimo termine, nel secondo trimestre la crescita si dovrebbe attestare all’1,2% rispetto al trimestre precedente”, aggiunge van Leenders. “In base alle nostre stime, i consumi delle famiglie dovrebbero salire: il mercato del lavoro ha continuato a consolidarsi e adesso la crescita dell’occupazione potrebbe registrare una lieve frenata, ma a nostro avviso non vi sono segnali di un brusco rallentamento. Le conseguenze negative legate alla flessione degli investimenti societari – non solo nel settore energetico – e delle esportazioni nette dovrebbero gradualmente attenuarsi, ma l’ostacolo rappresentato dalla saturazione delle scorte di magazzino continua a esercitare effetti sfavorevoli. Nell’area dell’euro la crescita è balzata dallo 0,3% su base trimestrale (non annualizzata) registrata negli ultimi tre mesi dell’anno scorso allo 0,6% del primo trimestre dell’anno, facendo segnare la piena ripresa dopo le crisi finanziarie e debitorie che hanno perturbato quest’area negli ultimi anni. L’ultimo dato trimestrale dovrebbe corrispondere ad una crescita annua del 2,2% su base trimestrale annualizzata, valore nettamente superiore al dato tendenziale. Il calo della disoccupazione e il miglioramento del ciclo creditizio dovrebbero compensare l’indebolimento degli effetti positivi legati alla flessione del prezzo del greggio e al deprezzamento dell’euro. Gli ultimi indicatori prospettici suggeriscono che nei prossimi trimestri la crescita si attesterà tra 1,25% e 1,5%. Pertanto, qualora la crescita accelerasse negli USA e rallentasse nell’area dell’euro, gli andamenti di queste due aree tornerebbero a convergere. Le nostre previsioni di crescita asincrona riflettono la relativa divergenza tra i paesi avanzati e le economie emergenti, con la Cina che non ha ancora superato il momento critico e il Giappone che sembra essere passato tra i paesi emergenti a causa di una crescita molto debole e il pericolo di una nuova recessione”.

PMI MANIFATTURIERO: FLESSIONE IN APRILE – “L’indice PMI manifatturiero globale ponderato per il PIL elaborato dai nostri esperti è tornato ad attestarsi al livello di febbraio – che è il più basso da quasi tre anni a questa parte – e inoltre il PMI relativo ai paesi avanzati è sceso al di sotto dei minimi di febbraio, mentre nei paesi emergenti si è mantenuto al di sopra di tale livello. Ad ogni modo, entrambi gli indicatori segnalano una crescita modesta”, sottolinea van Leenders. “Per quanto riguarda la Cina, si potrebbe sostenere che il peggio sia passato per il settore manifatturiero, ma il settore dei servizi sembra seguire ancora una tendenza al ribasso. La relativa debolezza nel settore dei servizi e delle vendite al dettaglio potrebbe essere riconducibile alle difficoltà del mercato del lavoro”.

BANCHE CENTRALI: SORPRESE POSITIVE E NEGATIVE – “Per quanto riguarda la riunione della settimana scorsa dell’organismo della Federal Reserve responsabile della politica monetaria, forse la novità più significativa è stata la sostituzione del riferimento ai rischi legati agli sviluppi economici e finanziari globali con una nota relativa all’impegno della banca centrale a seguire da vicino tali sviluppi. Questo cambiamento può essere visto come un lieve ridimensionamento di tali rischi a seguito di una nuova valutazione degli economisti della Federal Reserve. Gli esperti della banca centrale hanno riconosciuto che la crescita degli Stati Uniti ha subito un rallentamento, ma continuano a contare sul miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro e su aumenti consistenti del reddito delle famiglie per mantenere la crescita del PIL sui livelli attuali. A nostro avviso, quindi, un nuovo incremento dei tassi quest’anno è ancora possibile, anche se secondo i mercati le probabilità di un rialzo a giugno sono pari solo al 12%. Qualora le attese degli analisti restassero su livelli tanto modesti, la banca centrale potrebbe decidere di non intervenire per evitare di innescare turbolenze sui mercati”, aggiunge il gestore. “Contrariamente alle attese, la Banca del Giappone ha mantenuto invariata la politica monetaria, pur avendo dovuto ridurre le proprie previsioni di crescita e spostare ancora in avanti il momento in cui l’inflazione dovrebbe toccare l’obiettivo del 2%. Gli economisti della banca centrale hanno dichiarato che prima di varare nuovi provvedimenti intendono valutare l’impatto dei tassi negativi introdotti a gennaio. A nostro avviso, le autorità monetarie nipponiche intendevano anche evitare interventi di stimolo frammentari, poiché ciò avrebbe rafforzato la percezione che la banca centrale stesse esaurendo i margini di manovra. Dopo l’annuncio, lo yen si è rafforzato, mentre i mercati azionari hanno perso terreno. La Banca del Giappone potrebbe essere restia a utilizzare la politica monetaria per indebolire lo yen alla luce dei timori a livello internazionale, ma continuiamo a ritenere che nei prossimi mesi un allentamento monetario sia molto probabile e che potrebbe essere innescato da un apprezzamento dello yen. Il taglio del tasso di riferimento da parte dalla Reserve Bank of Australia (RBA) non era del tutto in linea con le attese e potrebbe essere stato favorito sia dalla debolezza dell’inflazione che dall’apprezzamento del dollaro australiano a partire dal mese di gennaio. La valuta australiana si è deprezzata dopo la decisione della banca centrale, ma si attesta ancora al suo massimo dalla metà 2015 rispetto al dollaro USA. La RBA potrebbe ridurre ancora i tassi, ma è poco probabile che ciò avvenga nei prossimi mesi. L’indicazione principale che si può trarre da tale decisione è che la congiuntura globale si trova ancora in una fase caratterizzata da bassa inflazione e politiche monetarie espansive”.

ALLOCAZIONE DEGLI ATTIVI: VARIE MODIFICHE – “Abbiamo adottato una posizione sovrappesata nelle azioni di USA e Giappone rispetto ai titoli europei. Il numero di società USA che sinora sono state in grado di registrare utili superiori alle attese è più elevato rispetto agli ultimi cinque trimestri e anche per quanto riguarda l’incremento delle vendite i dati superiori alle stime sono risultati più frequenti rispetto al passato. Tuttavia, ciò non vuol dire che nel complesso le cifre pubblicate siano particolarmente positive. Pensiamo che la probabilità di nuovi stimoli monetari in Giappone potrebbe risultare favorevole per i mercati azionari, mentre gli indici europei devono fare i conti con la pubblicazione di utili societari in chiaroscuro. I multipli di mercato paiono abbastanza elevati negli Stati Uniti e in Europa e, in misura minore, in Giappone e, a nostro avviso, la sostenibilità dei dividendi è più incerta in Europa. Nel complesso, i fattori di breve termine, come la dinamica di mercato, il posizionamento degli operatori e i rischi legati alla situazione politica, si stanno accumulando a sfavore delle azioni europee. Abbiamo realizzato i profitti maturati sul sovrappeso nel comparto delle small cap europee rispetto alle large cap. Negli ultimi tempi si è registrato un deflusso di capitali dal segmento delle small cap, riconducibile soprattutto al miglioramento del clima di mercato nei paesi emergenti e del crescente interessere verso i titoli delle large cap maggiormente esposte verso questi paesi. Inoltre, anche le operazioni di fusione e acquisizione, che dovrebbero favorire i titoli delle società a bassa capitalizzazione, negli ultimi tempi hanno registrato un notevole calo. Infine, abbiamo realizzato i profitti maturati sul sovrappeso nel segmento delle obbligazioni societarie USA. In effetti, gli spread su questi titoli si sono ridotti, ma alcuni fondamentali hanno registrato un lieve deterioramento: negli ultimi tempi i declassamenti di rating sono risultati più numerosi rispetto agli innalzamenti e i tassi di insolvenza hanno registrato un costante aumento a causa delle difficoltà incontrate delle aziende del settore delle materie prime. Dopo la contrazione degli spread, abbiamo ritenuto che, in base al rapporto rischio/rendimento, il carry su questi titoli non giustificasse più un sovrappeso”, conclude van Leenders.

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