Gam: l’azionario Usa alla prova del ciclo del debito

PREOCCUPAZIONI IN AUMENTO – “Debito. Una montagna di debito. Con il dissolversi della crisi finanziaria, il mondo sembra essere inondato da un livello di debito senza precedenti. Il cosiddetto super-ciclo del debito si è perfino accresciuto, con il triennio 2007-2009 da intendersi come una piccola buca su di un percorso di livelli di debito in costante salita”, spiega John Lambert, responsabile investimenti di GAM. “E questo dovrebbe rappresentare una condizione preoccupante per gli investitori dato che ci troviamo ancora all’interno di uno dei più lunghi cicli economici e di mercato. E le preoccupazioni potrebbero anche aumentare prendendo in considerazione l’attuale politica monetaria a livello globale e le misure altamente non convenzionali che sono state adottate. Non siamo mai entrati in una fase di mercato ribassista in un contesto caratterizzato da tassi d’interesse a breve termine vicini allo zero o anche negativi in qualche caso, ma è probabile che, tra non molto, ci troveremo a fare i conti con una situazione di questo tipo. Il consenso sembra concordare sul fatto che, nonostante la misura di tassi d’interesse a zero, le banche centrali non dovrebbero aver finito le munizioni. E questo potrebbe essere vero, anche se in casi precedenti, le scelte monetarie di quantitative easing hanno avuto un effetto limitato nel frenare le significative perdite del mercato”.

LIVELLO RECORD – “Prendiamo in considerazione un dato numerico: nel 1960, il totale del debito governativo emesso rappresentava il 53% del Pil. Nell’ultimo trimestre, aveva raggiunto il livello record del 104%. Inoltre, se si considera il totale dei debiti non finanziari, la percentuale alla fine del 1960 sale al 139%, mentre quella a dicembre 2015 si attesta al 249% – nuovo record storico, addirittura superiore al massimo raggiunto nel terzo trimestre 2009. Per usare il gergo tecnico, è aumentato il rapporto incrementale capitale/prodotto. Tassi più bassi insieme all’incremento del debito rappresentano una combinazione che le banche centrali hanno usato per molti cicli economici nel tentativo di rivitalizzare l’economia, con il risultato che il rendimento in termini di output sul debito aggiuntivo è calato. Nel 1950 ci volevano circa 1,40 dollari per creare 1 dollaro di output, mentre, per questo secolo, il valore è di circa 3,30 dollari e in aumento dalla crisi”, aggiunge Lambert. “Presumibilmente, è questa la ragione per la quale le banche centrali sono così spaventate dall’aumentare i tassi e, allo stesso tempo, anche la ragione per la quale la politica monetaria è stata così inefficace nel raggiungere la “velocità di fuga” tanto agognata nonostante tutte le misure poco ortodosse. Le principali economie sono già saturate dal debito, la gran parte del quale è stato usato per investimenti improduttivi o per il consumo”.

ESEMPI IN USA – “Le società statunitensi in particolare hanno trovato irresistibile il richiamo dei prestiti a basso costo, perciò è di particolare interesse il fatto che abbiano spesso poco da mostrare in cambio dell’enorme aumento del debito delle quali si sono fatte carico negli ultimi anni. Una grossa acquisizione è spesso la giustificazione per aumentare l’indebitamento, così come i piani di buyback, ma nessuna delle due misure è nota per creare valore per gli azionisti nel lungo periodo. Secondo i dati dell’US Bureau of Economic Analysis, i cash-flow delle aziende a livello globale sono aumentati appena di 11 miliardi di dollari dal 2010 al 2015, mentre il debito complessivo nel settore corporate è aumentato di più di due trilioni di dollari, o il 34%, negli ultimi 5 anni. E questa è una divergenza assoluta e uno schema tipico dell’ultima fase del ciclo, fattore che rende attualmente difficile trovare attraente l’azionario USA”, prosegue Lambert. “Facciamo qualche esempio: nel 2007 ExxonMobil aveva più di 20 miliardi di dollari in cassa a bilancio, ma entro il 2015 si erano trasformati in 35 miliardi di debito netto. Di conseguenza, ha recentemente perso il rating AAA che deteneva dal 1930. E questo nonostante la società abbia conseguito cash-flow positivi per tutto il periodo. E se state pensando che sia solo colpa del prezzo del petrolio, sappiate che non lo è. Philip Morris è un altro esempio. Sebbene abbia generato flussi di cassa positivi per tutto il periodo, da inizio 2007 la società si è mossa da una posizione di debito netto marginale trascurabile a un deficit di 25 milioni di dollari. Oppure si prenda in considerazione Pfizer, un’altra società ad alta generazione di cassa, che è passata da quasi 20 miliardi di cassa positiva a più di 15 miliardi di debito netto nello stesso periodo di riferimento”.

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