Brexit, Henderson: cosa succederà sui mercati azionari europei

APPROCCIO PRUDENTE – “Abbiamo adottato tutto l’anno un approccio prudente sui mercati e in vista del referendum avevamo assunto posizioni difensive in portafoglio, sovrappesando il settore sanitario e incrementando l’esposizione nei colossi del petrolio. Queste scelte si basavano sui fondamentali e non sulle nostre doti di preveggenza sull’esito del voto”, spiega John Bennett, direttore Azionario Europa di Henderson Global Investors. “Non credo che la Brexit sarà così catastrofica come viene dipinta con sensazionalismo dai mezzi di informazione, anche se è vero che ci troviamo di fronte a un territorio inesplorato e non possiamo sapere quali saranno i futuri sviluppi. Pertanto non abbiamo apportato grandi cambiamenti ai portafogli a seguito del risultato, in parte perché l’incertezza alimentata dall’esito del referendum è in linea con le nostre previsioni. Sarebbe dannoso giungere a soluzioni affrettate nei negoziati tra Regno Unito e Unione Europea, trovandosi ancora sull’onda dell’emozione. Tuttavia, i mercati odiano l’incertezza ed eventuali rinvii potrebbero intaccare la fiducia, spingendo a posticipare investimenti, posti di lavoro e consumi”.

TIMORE RECESSIONE – “In questo momento la nostra principale preoccupazione è che il voto scateni una recessione in Europa. In caso di recessione, le conseguenze sui mercati non saranno necessariamente uniformi. Sarebbero probabilmente avvantaggiate le società a più elevata capitalizzazione insieme ai titoli non ciclici. Ne beneficerebbero anche i settori in cui le valutazioni hanno già dovuto attraversare una fase di ribasso del mercato, come il settore petrolifero dove il prezzo basso del petrolio invita a una gestione più rigorosa del capitale. Abbiamo iniziato ad acquistare il settore petrolifero nel 3° trimestre 2015, e anche gli acquisti delle ultime settimane hanno fatto bene ai portafogli. È indicativo che nella fase di panico iniziale i mercati europei hanno subìto perdite più consistenti rispetto al mercato britannico. Sembra un’ironia della sorte anche il fatto che il Regno Unito, proprio per aver conservato la sua valuta, potrà in parte contenere le perdite attraverso l’indebolimento della sterlina che rafforza le esportazioni e gli utili delle società britanniche conseguiti all’estero. I membri dell’Eurozona non hanno questa valvola di sfogo, e questo mi porta alla seconda preoccupazione, ovvero che la Brexit riapra la crisi nei paesi periferici dell’area euro”, aggiunge Bennett. “Sono meno propenso a preoccuparmi per il Regno Unito, mentre mi impensieriscono maggiormente Grecia, Portogallo e Italia. A causa delle difficoltà economiche, l’elettorato di questi paesi è disilluso; l’Italia affronterà un referendum sulla riforma politica a ottobre. Il monopolio delle crisi politiche non è dunque appannaggio esclusivo del Regno Unito. Anche in Francia serpeggia la delusione. Inoltre, il settore bancario in Europa, soprattutto nei paesi periferici, non è in grado di affrontare una recessione, non disponendo di capitali sufficienti. Questa è la ragione principale del nostro approccio prudente con le banche nel lungo termine. Non è detto che questi timori si trasformino in realtà. È possibile che le banche centrali introducano nuovi stimoli, anche se credo che sarebbe più utile ricorrere alla politica fiscale, considerate le conseguenze che i tassi di interesse negativi e il quantitative easing stanno producendo sul settore finanziario. Il QE sta soffocando le banche. È difficile credere che l’economia europea possa uscire indenne da questa situazione. Nonostante la correzione iniziale del mercato, le valutazioni azionarie sono su livelli che hanno senso solo se si riescono ad evitare nuove turbolenze o una recessione. Pertanto sono vulnerabili. In questi mercati in rapida evoluzione adotteremo un approccio tattico, ma non apporteremo cambiamenti strategici alle posizioni in portafoglio sostanzialmente improntate alla cautela”.

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