Gam, le banche italiane ed europee alla prova dei Npl

LA SFIDA DEI NPL – “Il settore bancario europeo appare oggi in una situazione molto differente rispetto a quella del 2011, con le banche del Vecchio Continente che non si trovano più da tempo a fronteggiare problemi di liquidità grazie alle operazioni di rifinanziamento a lungo termine e di quantitative easing”. spiega Davide Marchesin, gestore del team azionario non direzionale di GAM. “La sfida più importante, tuttavia, riguarda il gran numero di NPL ancora sui bilanci di molte banche. Rimane dunque una questione fondamentale comprendere se i leader europei riusciranno a giungere ad un accordo su come affrontare la situazione. Nel contesto attuale, le banche posizionate meglio hanno una solida qualità del credito, un alto livello di patrimonio netto e un Roa (Return on Asset) tali da permettergli di assorbire l’incremento dei costi del credito”.

IMITARE LA FED – “Crediamo che la soluzione più efficace da parte della Bce potrebbe essere quella di adottare lo stesso approccio seguito dalla Fed per rimediare ai danni causati dalla crisi dei subprime. Nel 2008, il Congresso firmò il TARP (Troubled Asset Relief Program) permettendo al Dipartimento del Tesoro di acquistare o di assicurare miliardi di asset in sofferenza. Il Tesoro dunque acquistò asset illiquidi e di complessa valutazione da banche e altre istituzioni finanziarie con un ampliamento del bilancio della Fed da circa 500 miliardi di dollari in asset alla fine del 2008 ad una cifra superiore ai 4mila miliardi sei anni più tardi, includendo più di circa 1.500 miliardi di dollari di bond non governativi, come i residential mortgage backed securities”, aggiunge Marchesin. “Ad oggi, i governi del Vecchio Continente non possono colmare la carenza di capitale delle banche e la Bce non ha la possibilità di acquistare dalle banche asset in sofferenza, ma esclusivamente bond con rating tripla A. Permettere alla Bce di acquistare asset in sofferenza e coprire eventuali deficit di capitale che dovessero emergere, restituirebbe credibilità. Fino ad allora, le banche europee rimarranno decisamente sotto pressione. L’Italia viene da un decennio di crescita economica debole che, unitamente alla crisi finanziaria e ad alcuni casi specifici di cattiva gestione, ha causato un significativo aumento dello stock di crediti deteriorati. L’origine di questi asset problematici è diffusa e riguarda l’immobiliare commerciale, le piccole e medie imprese e il credito al consumo”.

ALCUNI RISCHI – “Le banche italiane continuano a detenere tali asset deteriorati perché negli ultimi anni sono state costrette ad aumentare il livello di riservazione e a migliorare contestualmente la propria capitalizzazione. Adesso che, in media, questi asset sono stati svalutati del 60%, potrebbero essere ceduti ad un prezzo inferiore al 70-75% del loro valore nominale senza incorrere in perdite insostenibili. Crediamo che lo stress test evidenzierà una capitalizzazione complessivamente solida per le banche europee, ma anche alcuni rischi: tra cui l’elevato Texas ratio (che raffronta il totale dei crediti deteriorati con la somma del patrimonio netto e delle riserve sui crediti in sofferenza). Una cessione di questi asset, sarà necessaria per giungere a una risoluzione di tale debolezza. Non vediamo al momento alcuna banca italiana intenzionata all’acquisto dei competitor più deboli. Il processo di ristrutturazione e riorganizzazione del mercato dovrà essere gestito e organizzato direttamente dal governo italiano, con il pieno supporto delle istituzioni europee. Qualora dovessero riuscire a trovare una soluzione credibile per Banca Monte dei Paschi prima del referendum previsto nel prossimo autunno, questo processo potrebbe trasformarsi in un catalizzatore importante non solo per le banche italiane, ma per il sistema bancario europeo nel suo complesso”, conclude Marchesin.

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