Bnp Paribas IP: Cina e Usa, non fidatevi delle apparenze

QUADRO NON COMPLETAMENTE POSITIVO – “Le due principali economie mondiali, gli Stati Uniti e la Cina, hanno pubblicato qualche dato favorevole relativo alla situazione economica di questa settimana ma, mentre i mercati hanno accolto i dati con favore, a nostro parere il quadro non è completamente positivo”, spiega Joost van Leenders, chief economist del team Multi asset solutions di Bnp Paribas IP. “Nel frattempo, gli indici azionari USA hanno continuato a salire sulla scia dei dati reddituali diffusi dalle società – migliori rispetto alle modeste stime degli analisti – e grazie alle indicazioni della Federal Reserve che non pare aver fretta di innalzare i tassi d’interesse. Gli strumenti finanziari rischiosi in generale si sono comportati bene sui mercati e i differenziali di rendimento sulle obbligazioni societarie sono diminuiti. Tuttavia, continuiamo a pensare che occorra cautela: l’economia globale non è solida e nemmeno gli utili societari paiono particolarmente robusti. I mercati USA hanno beneficiato del calo delle attese relative a un inasprimento monetario a breve, ma a nostro avviso non è da escludere un giro di vite sui tassi verso la fine dell’anno”.

USA: DUBBI SULLA TENUTA DEI CONSUMI – “Le vendite al dettaglio hanno registrato una forte accelerazione in giugno, spingendo al +5,9% i consumi complessivi nel secondo trimestre (su base trimestrale annualizzata) e facendo segnare l’incremento più consistente dal secondo trimestre dell’anno passato, quando la spesa al consumo ripartì dopo la brusca frenata dovuta a un inverno particolarmente rigido. Al netto delle vendite di alimentari, autovetture e materiali da costruzione il rialzo sale al 7,4%: un risultato pari all’incremento registrato nel secondo trimestre del 2014. Gli analisti si stanno interrogando sugli effetti di tale andamento sul PIL: nel secondo trimestre del 2014 la crescita era balzata al 4,6% su base trimestrale annualizzata, mentre nello stesso periodo del 2015 si è attestata al 3,9%. Pertanto è probabile che il progresso del PIL possa risultare superiore al 4% nel secondo trimestre. Pare chiaro che la crescita dei consumi è stata molto più consistente rispetto alla crescita del reddito disponibile in termini reali nell’ultimo trimestre e quindi prevediamo che le vendite al dettaglio rallenteranno nel secondo semestre, anche considerando che la fiducia dei consumatori in luglio è scesa per il secondo mese consecutivo restando sostanzialmente invariata dalla fine del 2014. Inoltre, la crescita dell’occupazione ha rallentato e il Labour Market Conditions Index elaborato dalla Federal Reserve è rimasto in territorio negativo”, prosegue van Leenders.

USA: IL QUADRO COMPLESSIVO – “In giugno, la produzione industriale e la produzione manifatturiera sono risultate superiori alle attese, ma tale andamento è parzialmente riconducibile a un recupero dopo la flessione di maggio e, ad ogni modo, questi settori non paiono in buona salute. Inoltre, per quanto riguarda la fiducia delle imprese, il primo indice regionale pubblicato a luglio è crollato su un livello appena superiore allo zero, lasciando prevedere un sostanziale ristagno della produzione. Probabilmente è troppo presto per proiettare questo dato a livello nazionale, ma riteniamo che il settore manifatturiero USA debba fare i conti con dei fattori avversi, come la domanda scarsa di beni strumentali, l’accumulo delle scorte di magazzino e la forza della valuta. Il valore del dollaro (ponderato per l’interscambio commerciale) si è indebolito tra gennaio e maggio, ma negli ultimi tempi ha recuperato e attualmente si attesta su un livello inferiore solo del 3% rispetto ai massimi storici. In luglio la fiducia delle imprese edili si è indebolita, ma tendiamo a escludere una svolta al ribasso del mercato dell’edilizia residenziale. Le vendite e i prezzi hanno registrato sensibili incrementi, sia per le nuove abitazioni sia per quelle di vecchia costruzione, mentre le aperture di nuovi cantieri sono diminuite rispetto alle vendite di case nuove e gli stock di alloggi invenduti sono bassi”, aggiunge il gestore.

CINA: LE CIFRE COMPLESSIVE CELANO PUNTI DEBOLI – “Nel secondo trimestre, la crescita del PIL in Cina è rimasta invariata al 6,7% su base annua: per molti paesi si tratterebbe di un tasso impressionante ma per la Cina corrisponde al ritmo più lento dal secondo trimestre del 2009. Ad ogni modo, i dati complessivi paiono rassicuranti, nonostante i dettagli rivelino dei punti deboli: i massicci incentivi monetari e fiscali sinora hanno consentito solo di stabilizzare l’economia e, a nostro avviso, ciò desta preoccupazione poiché accentua gli squilibri già evidenti in Cina. La forte espansione del credito seguita all’allentamento monetario sta aggravando l’ingente debito accumulato e l’impennata della spesa pubblica potrebbe accrescere gli investimenti non produttivi acuendo il problema dell’allocazione inefficiente del capitale. In effetti, gli investimenti del settore privato hanno praticamente smesso di crescere, l’attività di costruzione immobiliare e le vendite di abitazioni stanno mostrando segnali di rallentamento e – se si considera l’impennata dei prezzi nelle città più importanti – pare che si sia formata una nuova bolla speculativa. In questo quadro, la debolezza degli indicatori del mercato del lavoro lascia prevedere che i fattori a sostegno del comparto immobiliare potrebbero non durare a lungo”, sottolinea van Leenders.

RIALZO DEL MERCATO AZIONARIO: LE CAUSE – “Gli indici azionari USA hanno guadagnato un po’ più del 2% prima del voto sulla Brexit, mentre le azioni dell’area euro hanno ampiamente recuperato le perdite e i listini del Regno Unito sono saliti del 6%. Persino le azioni del Giappone – a lungo in difficoltà a causa del vigore dello yen – sono tornate ai livelli pre-referendum, mentre i mercati azionari dei paesi emergenti sono ai massimi dal novembre scorso. Inoltre, gli spread sui titoli societari (investment grade e high yield) e sul debito sovrano dei paesi periferici dell’area euro sono diminuiti. A nostro parere, questa dinamica favorevole relativa agli attivi a maggior rischio non pare giustificata. Tuttavia, considerato che i rendimenti obbligazionari sono vicini ai minimi storici, potrebbero non esserci alternative alle azioni sui mercati finanziari. Il desiderio degli investitori di conseguire rendimenti più elevati si riflette nell’ottimo andamento dei mercati azionari ma anche nella sovraperformance dei settori difensivi rispetto al mercato complessivo. Inoltre, è vero che la spesa al consumo e il mercato del lavoro negli USA sono risultati robusti e che la Federal Reserve non pare aver fretta di inasprire la politica monetaria ma questi andamenti potrebbero cambiare”, precisa van Leenders. “Riteniamo che le prospettive per l’economia USA siano più in chiaroscuro, mentre la possibilità che la Federal Reserve innalzi i tassi potrebbe tornare in primo piano in tempi brevi. In Europa, i primi segnali degli effetti economici della Brexit stanno cominciando a emergere: la componente outlook dell’indicatore congiunturale tedesco ZEW si è collocata al minimo dalla fine del 2012, mentre nel Regno Unito le quotazioni immobiliari hanno accusato una brusca frenata in luglio. La pubblicazione degli utili societari negli Stati Uniti è appena agli inizi, e sinora gran parte delle imprese stanno diffondendo dati superiori alle attese, anche se le revisioni complessive dei profitti sono tornate ad essere negative dopo una breve fase in territorio positivo. A nostro avviso, è poco probabile che le retribuzioni o la produttività negli USA possano crescere più velocemente senza creare delle pressioni al rialzo sui salari. Nell’area euro, un lieve rallentamento della crescita dopo il referendum nel Regno Unito e l’inflazione che resta bassa rendono difficile il contesto per la crescita dei profitti societari, senza contare l’accentuazione dei rischi legati alla situazione politica. Per quanto riguarda il Giappone, è probabile che il rafforzamento dello yen registrato dall’inizio dell’anno incida negativamente sui profitti societari. Inoltre, valutiamo con scetticismo la recente riduzione degli spread sui titoli societari in un contesto caratterizzato da crescita bassa e inflazione modesta, dalla necessità di consolidamento dei conti pubblici e dai seri problemi che affliggono il sistema bancario italiano. A nostro avviso, c’è il rischio che gli spread sui titoli di Stato dei paesi periferici dell’UE tornino a salire e che i fondamentali non giustifichino il recente calo degli spread sul debito dei paesi emergenti. L’allocazione degli attivi resta invariata: sottopeso nel comparto azionario internazionale, sottopeso nel debito dei paesi emergenti in valuta forte e sottopeso nel segmento delle materie prime. Infine, nel comparto obbligazionario, per quanto riguarda sia i titoli di Stato sia le obbligazioni societarie investment grade, privilegiamo gli Stati Uniti rispetto all’Europa”.

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