Consultinvest: non solo Brexit, bisogna guardare anche ai Paesi emergenti

STIME RIVISTE AL RIBASSO – “Il Fmi ha nuovamente rivisto al ribasso, in modo peraltro ancora lieve, le stime di crescita economica globale prendendo atto del voto referendario inglese. Nell’ipotesi che una qualche forma di accordo commerciale si delinei rapidamente tra GB e UE, secondo l’organismo di Washington il mondo crescerà intorno al +3,1% nel 2016 – ovvero come nel 2015 – e al +3,4% nel 2017. Gli impatti più severi saranno avvertiti dalla GB (+1,7% quest’anno e +1,3% nel prossimo, rispetto al +2,2% del 2015) e in un certo modo anche dall’area euro il prossimo anno: infatti la crescita sarebbe al +1,6% nel 2016 ma al +1,4% nel 2017, contro il +1,7% del 2015)”, spiega una nota di Consultinvest, la società guidata da Maurizio Vitolo. “In generale sono i grandi paesi sviluppati a dover assorbire maggiormente gli impatti negativi del voto, con revisioni delle stime che valgono un -0,1% di PIL aggregato per quest’anno e un -0,2% per il 2017. Al contrario i Paesi Emergenti non sarebbero impattati negativamente e confermerebbero stime di crescita al +4,1% e al +4,6% rispettivamente per quest’anno e il prossimo”.

GUARDARE ALTROVE – “Naturalmente, nell’ipotesi sciagurata di un deterioramento dei rapporti politico-diplomatici tra UE e GB sul tema della libera circolazione di merci e servizi, il FMI ritiene che queste stime debbano essere ulteriormente peggiorate e debbano portare a stimare la crescita globale al di sotto del +3%. In questo quadro di crescita economica che rimane modesta, fragile e priva di accelerazioni, soprattutto nel mondo sviluppato, diventa oltremodo importante per l’investitore guardare altrove e diversificare le fonti di rendimento e rischio: ci riferiamo in particolare al mondo emergente. Questo viene da un biennio oggettivamente difficile (2013-2015) caratterizzato da forti deflussi finanziari internazionali generati dai timori di rialzo dei tassi sul dollaro, dall’impatto negativo del ribasso delle materie prime e da situazioni oggettivamente difficili sul piano geopolitico. Queste difficoltà e rischi non sono certamente svaniti e anzi le vicissitudini politiche di Paesi come il Brasile, la Turchia, il Venezuela, la Nigeria o il Mozambico, oppure le stesse criticità economiche del colosso cinese rimangono lì a ricordarcelo. Tuttavia crediamo che le difficoltà economiche del mondo sviluppato rendano interessanti in termini comparativi alcune realtà del mondo emergente”, prosegue la nota.

DOPPIO BINARIO – “Il metro che crediamo debba guidare l’investitore può essere pensato a due binari. Il primo è quello di cercare Paesi con economie che possano sostenersi grazie allo sviluppo e alla modernizzazione della propria economia interna, avvantaggiandosi da una demografia dinamica e giovane, da un assetto politico- istituzionale sufficientemente democratico e da uno stato di sviluppo delle infrastrutture ancora arretrato. Evitando di concentrarsi invece su quei Paesi che devono necessariamente delegare la loro crescita economica all’export e alla manifattura di semilavorati commissionati dai paesi sviluppati. Quindi sarebbero interessanti paesi come Indonesia, India ad Est e Paesi come Brasile, Argentina e più in generale l’America Latina ad Ovest. Il secondo è quello di cercare Paesi in grado di remunerare bene il rischio emergente. Rischio che può essere ben approssimato da un livello dei tassi d’interesse reali sufficientemente elevato che compensi la volatilità del cambio e i rischi di un eventuale rialzo dei tassi Dollaro, evento che è difficile pensare non accadrà in futuro, sebbene al momento non pare ci sia grande voglia di assecondarlo da parte della FED. Sotto questo rispetto Paesi favoriti forse potrebbero essere Argentina e Brasile che crediamo debbano essere guardati con crescente interesse insieme alle prospettive di lungo termine per l’America Latina, che del complesso emergente è forse quella più trascurata da una eccessiva focalizzazione sulla Cina e sui Paesi dell’Est Asiatico – che hanno sensibilmente aumentato la dipendenza della loro crescita dal debito. Ci pare infatti che il Brasile abbia toccato il punto di minimo della sua recessione e che la maggiore stabilità politica osservata nelle ultime settimane possa portare ad un deciso miglioramento di prospettive. Brasilia ha rimesso in equilibrio i conti con l’estero e sul piano fiscale il ministro delle Finanze Meirelles ha delineato un piano credibile di contenimento del deficit fiscale. Gli elevati tassi reali brasiliani hanno stabilizzato il cambio e probabilmente stabilizzeranno l’inflazione dando ossigeno all’economia domestica attraverso una politica monetaria più accomodante. La stessa Argentina, con il governo del nuovo presidente Macrì che l’ha riportata con grandissimo successo sul mercato dei capitali internazionali, crediamo abbia grandi potenzialità. E poi nel Centro America vi sono grandi potenzialità per lo sviluppo di Cuba e della eterna promessa Messico – sebbene sia anche quella più a rischio in caso di vittoria di Trump. Infine non possiamo dimenticare le potenzialità in grado di svilupparsi in Venezuela, che dopo decenni di crisi e una volta superato l’attuale stallo politico che ha portato ad una situazione oggettivamente non più sostenibile, ha grandissime potenzialità che possono esprimersi dopo una fase di forte turbolenza legata al passaggio del dopo Maduro. Infine sono allo studio forme di integrazione del libero scambio di merci e servizi – nulla a che vedere con le commistioni politiche della UE – per l’interno sub continente americano, che possono partire da un rafforzamento della collaborazione argentino-brasiliana favorita dai nuovi cambi nei rispettivi governi (ora liberali e centristi), in grado di stimolare grandemente la crescita economica dell’intera regione”, conclude la nota

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