Invesco: la Cina ancora in affanno penalizza l’Asia orientale

LA CINA RALLENTA – “In Cina la possibilità di una significativa ripresa dei tassi di crescita sembra poco probabile nel breve termine. Il PIL è cresciuto del 6,7% nel primo trimestre 2016, incremento più basso degli ultimi sette anni, inoltre, permane la necessità di ridurre il livello di indebitamento dell’economia dopo anni di crescita molto rapida del credito e in considerazione della lenta crescita dei partner commerciali più sviluppati della Cina. Per il 2016, prevediamo che la crescita del PIL scenderà al 6,6%, mentre l’inflazione rimarrà sostanzialmente invariata all’1,6%”. E’ questa l’analisi di John Greenwood, capo economista di Invesco, nell’outlook macroeconomico del III trimestre 2016. Il graduale rallentamento dell’economia si è rispecchiato nel PMI manifatturiero ufficiale, sceso a giugno a 50,0 rispetto al 50,1 di maggio e nel PMI che si concentra sulle piccole e medie imprese, arretrato a giugno al 48,6 rispetto al 49,2 di maggio. “Il continuo rallentamento riflette non soltanto l’adeguamento dell’eccesso di capacità a livello nazionale, ma anche l’inizio dello spostamento di alcune attività in economie con salari inferiori nell’Asia sudorientale”, spiega Greenwood. “Le politiche ufficiali di riforma delle imprese statali hanno conseguito scarsi risultati, dato che la maggior parte del credito bancario è ancora concessa a imprese inefficienti e meno remunerative”.

ULTERIORI MISURE DALLA PBOC – Al fine di attenuare il rallentamento e compensare il drenaggio di liquidità provocato dai perduranti deflussi di capitali, la People’s Bank of China ha adottato ulteriori misure di allentamento iniettando liquidità nel mercato monetario al tasso corrente del 2,25. Il paniere valutario cinese ponderato su base commerciale è stato oggetto di un deprezzamento di circa il 10% dallo scorso agosto, quando il tasso bilaterale rispetto al dollaro USA è stato inaspettatamente rivisto al ribasso. Nel corso dell’anno si prevedono ulteriori misure conseguenti all’impegno delle autorità a far fronte al rallentamento della crescita, agli sfavorevoli flussi dei capitali e al desiderio di non consentire un eccessivo deprezzamento della valuta. Questa situazione incide sulle economie minori dell’Asia orientale penalizzate dal rallentamento cinese e dal commercio internazionale. “I mercati emergenti asiatici dipendono infatti in misura elevata dalle esportazioni: la flessione dell’export comporta un effetto pesante sul PIL di queste economie, molte delle quali hanno rallentato sino a registrare tassi di crescita nella fascia bassa dei numeri ad una cifra. Oltre a riportare cali delle esportazioni, hanno subito anche un deprezzamento valutario rispetto al dollaro USA. Per esempio, a fine giugno il ringgit malese era sceso quasi del 25% in rapporto al dollaro USA rispetto a due anni fa, mentre nello stesso periodo il won coreano si è deprezzato del 12,5%”. Questi deprezzamenti hanno coinciso con il calo delle esportazioni cominciato all’inizio del 2015 e poi proseguito, incidendo su tutte le economie minori dell’Asia orientale. Fino a quando la domanda globale non si rafforzerà – soprattutto nell’area euro e in Giappone – e la Cina non riuscirà a stabilizzare il proprio tasso di crescita, sembra improbabile che le economie minori dell’Asia orientale possano recuperare il vigore di un tempo. Potrebbero leggermente beneficiare dei prezzi più bassi delle materie prime, ma tali cali dei prezzi penalizzano alcuni dei loro principali mercati esportatori, come Brasile e Indonesia. Infine, anche l’esportazione di semilavorati e componenti in Cina è diminuita, in quanto una percentuale crescente della catena di fornitura asiatica si è spostata nella Cina stessa.

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