Greenwood (Invesco): “Prevedo ancora bassa crescita e bassa inflazione in Europa”

“Due miti stanno portando gli investitori a muoversi erroneamente alla ricerca di asset che offrono protezione nei confronti di un’inflazione che sarebbe destinata a crescere. A parlare è John Greenwood, capo economista capo di Invesco, da Marlow On Thames, nella campagna del Buckinghamshire, dove si è tenuto un incontro con la stampa europea. A proposito dei livelli di inflazione su scala globale e quindi dell’aumento dei prezzi potenziale in atto, il primo mito «è che una maggiore spesa pubblica e il deficit fiscale portino a una maggiore inflazione. I tedeschi, in primis, la pensano così”, dice Greenwood, “mentre la realtà è un’altra: a muovere l’inflazione è la politica monetaria. Le aspettative di inflazione erano al rialzo quando Donald Trump è stato eletto; gli investitori pensavano infatti che il nuovo presidente avrebbe portato a un giro di tagli fiscali e a maggiori spese in infrastrutture. Entrambe queste azioni, infatti, avrebbero aumentato il disavanzo del bilancio statunitense e, alla luce di molti economisti, tutto questo avrebbe dovuto portare a una maggiore inflazione, non solo negli Stati Uniti ma anche nel resto del mondo. Non è andata così”, ha aggiunto l’economista: “anche l’ascesa di altri populismi in giro per l’Europa e per il mondo portano i player del mercato a pensare che i disavanzi di bilancio governativi saliranno, portando a un aumento dell’inflazione”. Ma Greenwood ha affermato con chiarezza che il legame tra disavanzi di bilancio più alti e inflazione più elevata è un mito, portando avanti l’esempio dell’epoca Reagan negli Stati Uniti, quando il disavanzo di bilancio è aumentato costantemente, senza aumentare l’inflazione.

Il secondo mito evidenziato l’economista di Invesco è il legame percepito tra il livello di occupazione e il livello di inflazione. La teoria economica chiama questo collegamento la ‘curva di Phillips’. “L’idea è che livelli più alti di occupazione portino a livelli più alti dei salari e che tutto questo conduca a una maggiore crescita economica e quindi a più inflazione. Molti operatori del mercato sono rimasti molto perplessi dal fatto che, nonostante la disoccupazione nel Regno Unito e negli Usa abbia continuato a diminuire notevolmente negli anni dopo la crisi finanziaria, non si è arrivati né a salari più elevati né a più inflazione. Per Greenwood ciò può essere solo in parte spiegato dal cambiamento tecnologico e dall’aumento di un’occupazione irregolare. In parte la responsabilità è stata delle banche che, “a causa di ulteriori regolamentazioni del settore finanziario dopo la crisi finanziaria globale, hanno cominciato a comportarsi diversamente. Normalmente, infatti, un’occupazione più elevata porta a un aumento della disponibilità delle banche a prestare e a più consumatori che chiedono prestiti. Greenwood ha detto che è questo credito-extra, e non la crescita salariale, a pgenerare un’inflazione più elevata in quanto l’occupazione aumenta. L’economista di Invesco ha quindi aggiunto: «le restrizioni sui prestiti da parte delle banche (quelle americane hanno ridotto i prestiti del 14% dal 2008 al 2011, poi il dato è passato in positivo del +4% ma da quando c’è Trump c’è stata un’ulteriore riduzione) hanno portato le aziende e gli individui, su base globale, a ridurre i loro livelli di debito, bloccando l’inflazione».

Intanto, una settimana fa, la banca centrale americana ha annunciato la storica decisione di avviare la progressiva riduzione dell’ammontare di titoli detenuti, a partire dal mese di ottobre. “Ora, se diminuisce il bilancio della Fed, si riducono i depositi delle banche. “Il timore è che si entri in una contrazione creditizia: si riduce il bilancio della Fed, si assottigliano i depositi delle banche e quindi ci sarà meno credito. A questo punto la Bce deve muoversi con molta cautela, dato che la situazione in Europa non è affatto rosea»”, ha detto Greenwood che ha aggiunto: “a mio avviso, la crescita economica di Regno Unito ed Europa continuerà su questo passo per un paio di anni, con un tasso d’inflazione generalmente bassa. E questo sarà positivo per le azioni”.

Insomma, sta diventando sempre più evidente che le mosse della politica monetaria nell’ultimo decennio abbiano creato problemi strutturali più profondi di quelli che intendevano alleviare. Il debito eccessivo, un eccesso di capacità e la riduzione della fiducia stanno minacciando i mercati. Invesco, che ha masse in gestione globali per 722,6 miliardi di euro (al 30 giugno 2017), pur non avendo un’unica visione globale sugli investimenti resta sostanzialmente positiva nei confronti delle azioni europee rispetto a quelle americane, perché nel vecchio Continente le valutazioni dei titoli sono migliori e perché è in atto un cambio di leadership nel mondo. “L’Europa è un’opportunità di investimento per i prossimi 3 o 5 anni», ha detto Nick Mustoe, chief investment officer di Invesco che sull’arrivo della direttiva Mifid 2 ha detto: “è un punto critico per l’industria del risparmio. Noi stiamo investendo in team di ricerca fondamentale. Ma tutto ciò non significa andare alla ricerca del prezzo più basso, significa dare qualità ai clienti. Mai come ora bisogna sapere fornire performance”.

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