Schroders mette i mercati emergenti sotto i riflettori

“Sembrerebbe che lo slancio ribassista si sia già esaurito in alcune aree. L’Asia – Cina esclusa – non ha registrato rallentamenti dell’inflazione per diverso tempo. Anche l’India, dopo il crollo di giugno, sembra assistere ora a un ritorno delle pressioni inflazionistiche. In Europa centro-orientale, Medio Oriente e Africa l’inflazione sembra aver trovato un floor per ora. Solo in America Latina, dove il trend è iniziato più di recente, lo slancio sembra proseguire. Per fare delle previsioni, bisogna però individuare i driver”. Così si esprime Craig Botham (nella foto), emerging markets economist di Schroders, sui mercati emergenti e sulle sorti del trend disinflazionistico in atto.

“Anzitutto, le valute emergenti. A fine 2015 le valute emergenti hanno toccato il deprezzamento massimo e ciò ha causato, tre mesi più tardi, il picco dell’inflazione emergente. Il successivo apprezzamento delle monete emergenti ha invece contribuito a indirizzare l’inflazione al ribasso. Tuttavia, da marzo di quest’anno, questo trend si è invertito. Le valute emergenti hanno perso slancio e ciò potrebbe già impattare sull’inflazione dell’intero blocco. A meno che non assisteremo a un rinnovato apprezzamento dei tassi di cambio effettivi, questo vento di coda sembra essersi esaurito”. Un altro fattore da considerare è quello della crescita economica. “Una crescita debole in genere implica un’inflazione debole e dopo la crisi finanziaria globale i mercati emergenti hanno registrato un costante trend ribassista in termini di tassi di crescita reale. Ora, però, ci sono segnali che la crescita degli emergenti abbia oltrepassato il punto più basso e il consenso stima una crescita stabile, almeno nel corso dell’anno prossimo. Anche in questo caso, le pressioni disinflazionistiche dovrebbero essere terminate”.

La maggior parte delle economie emergenti è piccola e di natura aperta, quindi molto esposta ai venti internazionali. Due driver globali considerevoli dell’inflazione sono i prezzi del petrolio e quelli delle commodity agricole. “Per esempio”, prosegue l’economista, “la componente degli alimentari pesa per circa un terzo del paniere di riferimento dell’inflazione indiana. A livello internazionale, le materie prime agricole hanno subito un trend disinflazionistico da fine 2012 a inizio 2016, mentre il crollo del petrolio è stato più rapido, con le quotazioni del Brent scese dagli oltre 100 dollari al barile ad agosto 2014 a 50 dollari al barile a gennaio 2015, fino al tonfo a circa 30 dollari al barile a inizio 2016. L’impatto sulle economie emergenti varia a seconda del diverso peso delle importazioni e dell’utilizzo del controllo dei prezzi e dei sussidi, ma senza dubbio i cali delle commodity hanno contenuto l’inflazione dei prezzi domestici. Anche in questo caso, l’effetto sembra stia scemando, se non si è già esaurito del tutto. I prezzi del greggio sono saliti quest’anno e quelli agricoli faticano a trovare una direzione”.

Nel complesso, “tutto ciò ci porta a concludere che il processo disinflazionistico stia retrocedendo. Detto questo, non tutte le economie emergenti vedranno l’inflazione salire da qui in avanti. Per esempio, per la Russia e per altri Paesi esportatori di petrolio, l’apprezzamento valutario avrà ancora degli effetti disinflazionistici. O ancora, i monsoni in India sono decisivi per i prezzi agricoli. Il messaggio per gli investitori è quindi quello di guardare molto di più ai fattori domestici per ottenere degli spunti sull’inflazione, piuttosto che affidarsi ai driver aggregati, come avvenuto invece negli ultimi due anni”.

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