Amundi: Italia, ritorno alla crescita (con riserva)

LA SORPRESA ITALIANA – A fine 2017 l’Italia si è dimostrata essere una vera sorpresa tra i paesi dell’Eurozona, spiega Andrea Brasili, Macroeconomic Research di Amundi. Alla fine del terzo trimestre, il PIL è cresciuto dell’1,8% (anno su anno) e la produzione industriale (+3%) ha registrato il maggiore aumento tra i principali Paesi nei primi nove mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2016. Una serie di azioni di politica economica attuate nel corso degli ultimi tre anni sembra abbiano finalmente iniziato a dare i loro frutti. Sicuramente, l’effetto più visibile si è visto sulla competitività del Paese. Secondo l’ICE (Istituto per il Commercio Estero), infatti, dopo una lunga fase di declino, la quota di esportazione del mercato italiano ha mostrato una chiara capacità di ripresa nel corso degli ultimi anni. Capacità sostenuta da cambiamenti che hanno riguardato sia il modello della domanda globale sia la struttura dell’economia italiana, nella quale le industrie si sono spostate verso un modello differente rispetto a quello tradizionale, grazie al quale le aziende migliori sono cresciute in termini di dimensioni e sono diventate più competitive, divenendo esportatori diretti o entrando a far parte della catena del valore globale. A partire dal terzo trimestre del 2015, l’Italia ha registrato la percentuale di esportazioni più elevata all’interno dell’Eurozona, confronto molto favorevole con i volumi del resto del mondo. In quest’ottica, le esportazioni italiane stanno crescendo principalmente in settori legati a una migliore qualità (ad esempio nel settore del food) e in settori caratterizzati da una elevata componente tecnologica. Le partite correnti sono positive e sono cresciute nel corso degli ultimi quattro anni, con il risultato anche di una significativa riduzione della posizione finanziaria netta del debito dell’Italia verso l’estero.

TREND IN VIA DI CONFERMA – Sembrerebbe, dunque, che l’inizio del 2018 vedrà un proseguimento di questo robusto momentum per l’Italia, così come per altri paesi dell’Eurozona. A conferma di questo trend vi è un secondo fattore che dovrebbe essere tenuto in considerazione: il sistema finanziario del Paese. Più volte in passato è stata sottolineata le difficoltà per le imprese di risollevarsi dovendo contare su un sistema finanziario basata sul finanziamento principalmente da parte delle banche. Negli ultimi anni, qualcosa si è mosso: le operazioni di venture capital sono aumentate – rivelando una ritrovata fiducia da parte degli investitori verso le imprese del nostro Paese -, inoltre il governo si è adoperato per aprire l’accesso al mercato dei capitali anche alle aziende di medie dimensioni che prima non avevano modo di accedere a questi finanziamenti attraverso strumenti quali mini bond e PIR. Soprattutto questi ultimi, lanciati a inizio 2017, hanno dato slancio all’economia grazie al maggiore incentivo fiscale per i fondi investiti in parte sulle piccole e medie imprese italiane. La conseguenza positiva è stato un aumento delle IPO sul segmento AIM di Borsa Italiana. Nonostante, però, la situazione stia dunque migliorando, occorre tenere bene a mente che le fondamenta sono fragili, costruite su oltre 20 anni di cattive performance con un rapporto debito/PIL che ha registrato un forte aumento negli anni della crisi, soprattutto a causa dell’assenza di crescita piuttosto che dell’andamento dei conti pubblici. Questa eredità complica qualunque previsione si voglia fare sull’Italia. Tuttavia, i miglioramenti sopra citati, l’alleggerimento attuale degli standard per l’erogazione dei finanziamenti da parte delle banche e una crescita sana dell’Eurozona lascia spazio a un po’ di ottimismo. La crescita dovrebbe attestarsi quest’anno all’1,6% e dovrebbe scendere solo di poco nel 2018 e nel 2019 (rispettivamente 1,4% e 1,3%), non discostandosi dalle previsioni del governo. Gli investimenti dovrebbero contribuire in modo importante alla crescita, in parte grazie agli incentivi fiscali che dovrebbero proseguire anche nel 2018, aggiunge la nota.  Rimangono, certo, i rischi tecnici, dovuti al fatto che qualsiasi valutazione tende a essere influenzata da trend di lungo termine. L’inflazione dovrebbe rimanere a livelli bassi per effetto di una crescita dei salari modesta, dovuta alla disoccupazione ancora molto elevata (11,2%).

 

FATTORI INTERCONNESSI – Inoltre, previsioni, situazione fiscale e rischi politici sono fattori strettamente connessi tra loro. A novembre, il governo ha presentato la Legge di Bilancio insieme a un piano pluriennale credibile e ragionevole, compreso il proseguimento di alcune misure volte a promuovere la competitività, stimolare la crescita e aiutare i giovani. Tuttavia il Parlamento italiano è stato sciolto pochi giorni fa, riportando sotto i riflettori il rischio politico in attesa delle elezioni fissate per il prossimo 4 marzo. Sulla base dell’attuale legge elettorale, è difficile che uno dei tre blocchi riesca a ottenere la maggioranza pertanto è probabile che assisteremo a nuovi compromessi e coalizioni che riporteranno a una certa continuità, soprattutto se l’economia performerà bene. Rimane aperta, però, la questione delle relazioni con la Commissione Europea e con l’Eurogruppo, fondate principalmente sulla fiducia. Fiducia che, chiaramente, potrebbe venire meno nel momento in cui il nuovo governo decidesse di rivedere regole, approcci e politiche, e la recente lettera della Commissione dalla quale emergevano dubbi circa la Legge di Bilancio per il 2018 e con la quale si richiedeva all’Italia una più significativa riduzione del rapporto debito/PIL dovrebbe essere letta proprio in questo senso. Nonostante ciò, se l’economia non deluderà, il rapporto debito/PIL potrebbe muoversi in una chiara traiettoria discendente, come previsto – e soprattutto auspicato – dal governo. E tale scenario potrebbe aprire la strada a un repricing del rischio connesso alle attività italiane, conclude la nota.

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