Bnp Paribas Am: Usa, l’inflazione tende al rialzo

PREVISIONI MIGLIORATE – Le nostre previsioni in materia di crescita e inflazione negli Stati Uniti sono notevolmente migliorate dall’inizio del 2018, e pertanto abbiamo innalzato gli obiettivi previsti sia per quanto riguarda i rendimenti dei Treasury sia per i tassi di inflazione di pareggio basati sui TIPS. In questo articolo esaminiamo i fattori che, a nostro avviso, stanno contribuendo all’accelerazione dei prezzi al consumo negli USA e le possibili reazioni della Federal Reserve in termini di politica monetaria, spiega l’Investment Insight di Bnp Paribas Am, a cura di Cedric Scholtes, Co-head Inflation, Rates Committee Chair.
FATTORI TRANSITORI – Nei prossimi mesi, alcuni fattori transitori dovrebbero stimolare l’Indice dei prezzi al consumo (IPC) su base annua. Infatti, il forte calo dei prezzi delle tariffe di telefonia mobile registrato nel marzo del 2017 – quando gli operatori hanno offerto piani tariffari con traffico dati illimitato – uscirà in aprile dal computo su base annua, facendo risalire l’inflazione generale e quella core. Inoltre, il recente deprezzamento del dollaro USA e il rincaro delle materie prime e dell’energia potrebbero avere delle ripercussioni sui prezzi. In effetti, le nostre previsioni indicano che gli effetti base potrebbero trainare l’inflazione generale al 2,8% su base annua entro luglio.

EFFETTI DELLE MISURE PROTEZIONISTE – Abbiamo esaminato anche l’impatto sull’inflazione delle misure protezioniste adottate dall’amministrazione Trump. Il recente annuncio dell’imposizione di dazi sull’importazione di acciaio e alluminio, oltre ai tentativi di rinegoziare il North American Free Trade Agreement, evoca ancora una volta lo spettro delle rappresaglie commerciali. Tali misure potrebbero spingere l’IPC attraverso un aumento dei prezzi delle importazioni. Inoltre, il presidente Trump ha ventilato la possibilità di aumentare le imposte sui carburanti per finanziare un ambizioso piano di costruzione di infrastrutture. Ognuno di tali andamenti è suscettibile di innescare un aumento puntuale dell’IPC.

EFFETTO URAGANI – L’anno scorso, la stagione degli uragani è stata particolarmente violenta, danneggiando – tra l’altro – un numero significativo di autovetture. A Houston, in Texas, si stima che l’uragano Harvey abbia distrutto almeno 500.000 auto, creando uno squilibrio sul mercato delle auto usate, con una domanda molto elevata superiore all’offerta, che ha fatto lievitare i prezzi negli ultimi tre mesi.

Tuttavia, l’accelerazione dei prezzi al consumo core non è riconducibile solo all’effetto uragani:
– anzitutto, gli affitti pagati delle famiglie sono, in ogni caso, sostenuti dal vigore del mercato del lavoro e dagli andamenti demografici, e il tasso di creazione di nuove famiglie negli ultimi mesi sembra essere nuovamente aumentato.
– in secondo luogo, un documento pubblicato di recente dalla Federal Reserve Bank di San Francisco conferma che la scomposizione degli indici IPC e PCE in componenti “cicliche” e “acicliche” mostra che le componenti cicliche del IPC stanno evolvendo in linea con le attese accelerando di pari passo con il miglioramento del mercato del lavoro.

I PREZZI DELL’ASSISTENZA SANITARIA POTREBBERO SALIRE – L’Obamacare – la riforma sanitaria introdotta da Barack Obama – ha fissato un limite per i prezzi dell’assistenza medica frenando l’aumento delle tariffe nel settore sanitario. Inoltre, i costi per le cure mediche hanno fortemente risentito dei programmi di assistenza MediCaid e MediCare. Un’analisi condotta dalla Federal Reserve di San Francisco indica che la frenata dell’inflazione sull’assistenza medica riconducibile all’Affordable Care Act ha sottratto lo 0,3% annuo all’indice PCE negli ultimi cinque anni rispetto al trend precedente all’approvazione del provvedimento: tale ritardo in gran parte è stato riscontrato nella categoria della degenza ospedaliera.
In prospettiva, benché l’aumento dei costi dell’assistenza sanitaria rimanga una delle preoccupazioni principali per la spesa pubblica, le ultime evidenze mostrano che il governo federale ha allentato i limiti sui tassi di rimborso, e che l’inflazione dei costi delle cure mediche potrebbe recuperare, almeno parzialmente, nel corso del 2018.

SALARI AL RIALZO –  L’incremento del 2,9% su base annua delle retribuzioni orarie medie, registrato a gennaio, è stato il più consistente a partire dal 2009: questa misura non è molto efficace per cogliere il trend complessivo dei salari poiché subisce delle distorsioni inerenti l’anzianità o le competenze dei lavoratori (ad esempio i lavoratori più anziani e pagati meglio vengono rimpiazzati da dipendenti più giovani con paghe più basse). In effetti, il pensionamento di numerosi baby boomers (ovvero delle generazioni nate tra 1946-1964) sta accentuando tale distorsione. L’Atlanta Fed Wage Tracker corregge la distorsione considerando solo i dipendenti che hanno svolto lo stesso lavoro per 12 mesi. Questo indicatore mostra che i salari, in effetti, sono saliti tra il 3% e il 4%, a seconda della fascia d’età, dell’istruzione e del livello di competenze dei lavoratori. A nostro avviso, questo trend comincia a trovare conferme: i dati pubblicati il 31 gennaio hanno mostrato che l’Employment-cost index (ECI), la misura salariale preferita dalla Federal Reserve, è salito del 2,6% nel 2017, registrando l’incremento annuo più consistente dal 2009.
I MARGINI DI CRESCITA DEI SALARI SONO DESTINATI AD AMPLIARSI –  In base alle nostre proiezioni, la crescita salariale negli USA dovrebbe accelerare nei prossimi anni, dato che la disoccupazione, attualmente al 4,1%, sta continuando a scendere. Per il 2018, i nostri economisti hanno corretto al rialzo le stime di crescita del PIL – portandole dal 2,5% al 2,9% – in previsione di un rafforzamento dei consumi, degli investimenti delle imprese e nel settore dell’edilizia residenziale. Inoltre, a nostro avviso, gli stimoli fiscali dell’amministrazione Trump avranno un significativo impatto positivo sulla crescita del PIL pari allo 0,5% nel biennio 2018/19. Una crescita pari al 2,75% risulterebbe nettamente superiore alle nostre stime relative al potenziale – comprese tra l’1,50% e l’1,75% – e quindi dovrebbe far scendere il tasso di disoccupazione verso il 3,5%. I margini inutilizzati sul mercato del lavoro dovrebbero esaurirsi in tempi brevi, e dunque i salari paiono destinati a salire, sebbene non rapidamente. Questo però non comporterà un aumento automatico dei prezzi al consumo.
Ad ogni modo, il probabile miglioramento dei dati in materia di occupazione potrebbe rafforzare la fiducia della Federal Reserve nel graduale avvicinamento dell’inflazione verso l’obiettivo fissato.
Le ultime due rilevazioni dell’IPC, per dicembre 2017 e gennaio 2018, hanno rivelato un leggero rafforzamento dell’inflazione core, e in particolare degli affitti, dei prezzi delle autovetture e delle cure mediche, mentre a gennaio l’IPC è stato trainato anche dal recupero dei prezzi dell’abbigliamento dopo diversi mesi di calo.
PROBABILI REAZIONI DELLA FED –  In base alle nostre stime, la Federal Reserve innalzerà i tassi in misura maggiore rispetto ai livelli previsti al momento dai mercati finanziari: vi dovrebbero essere quattro incrementi dei tassi nel 2018 seguiti da almeno altri tre nel 2019. Dall’inizio del 2018, abbiamo corretto al rialzo le stime relative ai rendimenti nominali USA, soprattutto alla luce dei nuovi sgravi fiscali annunciati a febbraio, che a nostro avviso consentiranno un inasprimento più brusco da parte della Federal Reserve, e potrebbero addirittura causare qualche problema alla luce dei nuovi provvedimenti approvati.
Al momento, riteniamo che i rendimenti nominali potrebbero toccare il 3,25% (dall’attuale 2,86%), mentre i rendimenti reali dei TIPS a cinque anni potrebbero salire all’1,25% (dall’attuale 1,04%).
Per quanto riguarda il tasso di break-even (BEI), abbiamo rivisto l’obiettivo per il tasso a 10 anni, portandolo dal 2,15% al 2,25% alla luce dei nuovi stimoli fiscali per la crescita e dei segnali di rialzo dell’inflazione soggiacente, sia per ragioni cicliche sia per il miglioramento delle prospettive per i prezzi della sanità, visto che stanno svanendo gli effetti deflativi legati all’Affordable Care Act.

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