Polizze vita, Aduc: “Clienti male informati”

LA NATURA DEL CONTRATTO – Sul caso delle polizze vita e dell’ordinanza della Cassazione n. 10333/2018 (leggi qui), che ha decretato che si possono definire tali solo i contratti che garantiscono la restituzione del 100% del capitale investito, interviene l’avvocato Marco Solferini, consulente di Aduc. In particolare, il legale affronta il tema della natura del contratto. “Trattandosi di assicurazione sulla vita lo stesso, al pari della natura della società fiduciaria, potrebbe rappresentare uno scoglio invalicabile per evitare la qualifica di investimento, finendo per proteggere l’intermediario dietro lo schermo del fatto che in realtà il contratto altro non sarebbe che una polizza vita. Si tratta quindi di arrivare a capire se, al di là del nomen juris attribuitogli, il contratto sia da identificare come polizza assicurativa sulla vita (il cui rischio è a carico dell’assicuratore) oppure si concreti nell’investimento in uno strumento finanziario il cui rischio di performance è per intero addossato all’assicurato” (leggi qui).

UTILIZZO DISTORTO DEI TERMINI CONTRATTUALI – Su questo punto, precisa il legale, “la Corte conferma l’orientamento già espresso con la pronuncia 6061/2012 in quanto “mancando la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza e dunque la natura assicurativa del prodotto, il prodotto oggetto dell’intermediazione deve essere considerato un vero e proprio investimento finanziario da parte di coloro che figurano come assicurati”. Pertanto, mancando la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza (quale sarebbe il significato di una polizza) e dunque la natura assicurativa del prodotto, ci troviamo in presenza di un vero e proprio investimento finanziario. Tale ragionamento, altamente condivisibile – prosegue il legale – peraltro si basa sulla constatazione che a ben guardare non viene concluso fra le parti un contratto nei termini in cui poi viene eseguito e ancor meno secondo lo schema della proposta sottoscritta dai clienti. Ne deriva quindi un utilizzo distorto dei termini contrattuali richiamati (polizza anziché investimento) e una conseguente asimmetria informativa relativa al fatto che lo stesso investimento nemmeno viene sottoposto ai rigorosi modelli di informazione previsti per salvaguardare dal rischio il cliente investitore. In pratica, pur avendola chiamata polizza assicurativa vita in realtà altro non è se non un investimento in un prodotto finanziario. Il quale soggiace alle regole relative agli investimenti finanziari non essendo possibile sfruttare il diverso nome attribuito al contratto per evitare di ricadere nella disciplina di salvaguardia per i diritti dei clienti come pure non è altresì possibile nascondersi dietro lo schermo della società fiduciaria per ridurre, evitare, contenere, o in ogni altro modo alterare le tutele inerenti al regime di informazioni che sono la base irrinunciabile per gli investimenti”.

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