Continua la crisi del risparmio gestito. Cresce la voglia di liquidità.

L’unica nota positiva è stata ottenuta dai fondi liquidità con un +435,3 milioni. Mentre hanno segnato, per la prima volta da inizio anno, una raccolta negativa i fondi hedge con un -189,9 milioni, vittime del pessimo andamento del mercato borsistico.
Agli obbligazionari è invece andata la peggiore raccolta del mese con -4,5 miliardi di euro, seguiti dagli azionari con   -3,3 miliardi, dai flessibili con -1,7 miliardi e dai bilanciati con una raccolta negativa di un miliardo.
E così sotto l’effetto di riscatti pari a 7,8 miliardi di euro il patrimonio dei fondi italiani è calato a quota 292 miliardi.
Anche i roundtrip hanno accusato una raccolta negativa per poco meno di 1 miliardo e detengono masse superiori a 179 miliardi.
Riscatti, infine, anche per i prodotti esteri, che hanno chiuso provvisoriamente con flussi negativi pari a 1,5 miliardi e un patrimonio di 38 miliardi di euro.
 
In un tale contesto le molte idee promosse da esperti e addetti ai lavori per risanare la situazione risiedono ancora in un mondo teorico che non riesce a trovare un riscontro pratico nella realtà.
Tant’è che alla seconda riunione indetta il 16 aprile scorso dal governatore Mario Draghi, insieme ai rappresentanti di primarie SGR, come Azimut, Mediolanum e Kairos, del Ministero dell’Economia e della Consob, per trovare una ricetta in grado di risollevare il settore, l’unico accordo raggiunto ha riguardato il nodo della tassazione. All’unanimità i partecipanti hanno evidenziato la necessità di tassare i fondi italiani, come quelli esteri, sul realizzato, cioè al momento del disinvestimento, e non più sul maturato. Una disparità che per molti rientra tra le cause della crisi e che dovrà essere affrontata dal prossimo Governo. Nulla di fatto, invece, per gli altri ambiti di intervento previsti. A partire da quelli proposti da Consob, relativi all’ipotesi di quotare i fondi come se fossero azioni, con l’obiettivo di abbattere i costi di distribuzione.
Per passare poi a quelli lanciati da Assogestioni, attraverso il presidente, Marcello Messori, che prevedono benefici fiscali per i risparmiatori che investono in un’ottica di lungo periodo e l’avvio di fondi low cost con una certificazione di qualità.
Arrivando infine all’annoso problema, sottolineato da Draghi, sull’evoluzione degli assetti proprietari delle società di gestione, che oggi sono quasi interamente controllate da banche e assicurazioni.
Nulla di fatto quindi per la seconda task force organizzata da Banca d’Italia, dopo quella del 26 febbraio scorso. 


Il terzo incontro è stato fissato per i primi di giugno e sarà necessario trovare una soluzione comune per curare un sistema, in crisi oramai da troppo tempo.
 
E qualcuno la cura l’avrebbe già trovata. L’ex amministratore delegato di Xelion, Vincenzo Bafunno, e Paolo Cucurachi, professore di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università del Salento, hanno firmato un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore nel quale indicano cinque idee che potrebbero risollevare l’intera industria.
 
Il primo punto auspica una riclassificazione dei prodotti collocati sul mercato, perché le attuali categorie risultano inadeguate a compararli correttamente.

Nel secondo è necessario alzare il livello di trasparenza dei fondi, incominciando a distinguere tra commissione di gestione e commissione di distribuzione.

Mentre nel terzo i due esperti propongono di incrementare il livello di trasparenza offerto dai collocatori di obbligazioni costringendoli a rendersi market maker delle stesse.

Il quarto prevede, invece, l’obbligo per qualsiasi intermediario, su richiesta del cliente, di dover collocare qualunque fondo, Sicav o etf autorizzato alla distribuzione in Italia.

L’ultimo punto, infine, propone di incentivare fiscalmente gli investimenti in corsi di formazione per il personale addetto alla relazione coi clienti su temi specifici di pianificazione e consulenza agli investimenti privati.

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