Fondi hedge e la sfida dell'onshore

Negli Stati Uniti, la svizzera Ubs, sta combattendo strenuamente per mantenere l’unico vero vantaggio competitivo che rimane alla banca: il segreto bancario concesso a tutti coloro che dispongono di un conto corrente in Svizzera.

Nel resto del mondo, dalle Cayman all’Isola di Man, i paradisi fiscali stanno facendo lobbismo in ogni summit internazionale, pur di non vedersi distruggere dalla nuova ondata di moralità fiscale che sta colpendo il pianeta.

In Italia, lo scudo fiscale 3.0, sta per essere lanciato tra polemiche e voglia di chiudere, una volta per tutte, con i miliardi di dollari che ogni anno vengono esportati all’estero illegalmente.

Ma la voglia di on-shore (contro il concetto di offshore) si può facilmente applicare anche ai fondi hedge, così come sottolinea oggi Ratan Engineer, manager della divisione Gloabl Asset Management di Ernst & Young, sulle pagine del Financial Times.

Secondo il giornale inglese, il fatto di imporre un giro di vite sui domicili legali e fiscali dei fondi hedge, potrebbe essere un forte incentivo per far tornare molti fondi (e quindi soldi) nei paesi onshore (Gran Bretagna, Stati Uniti ecc) dove di solito hanno casa i gestori dei medesimi fondi.

A trarre i maggiori benefici potrebbero essere in primis proprio gli stati nazionali, che vedrebbero schizzare verso l’alto le entrate fiscali (oggi i fondi usano i paradisi fiscali proprio per pagare meno o  non pagare imposte), e far aumentare l’occupazione in questo settore (globalmente l’industria hedge impiega quasi 150.000 persone in tutto il mondo).

Ma il problema per i fondi hedge non è solo di natura fiscale. Anche gli strumenti che questi fondi possono utilizzare troverebbero degli impedimenti se riportati in patria.

Secondo Engineer, alcune strategie hedge potrebbero essere cosniderate ‘soggetti’ per il puro trading piuttosto che veicolo di investimento, andando così a pesare sulle imposte che gli stessi fondi devono pagare.

Per questo motivo, all’inizio dell’anno, il Regno Unito ha pubblicato una lista di strumenti che possono essere considerati utilizzati senza ricadere nella lista degli strumenti da trading e quindi esenti da tasse.

Secondo il quotidiano, quindi, l’operazione rientro da applicare ai tutti i fondi hedge non sarebbe molto difficile e troverebbe sostegno nella facilità con cui la normativa esistente potrebbe gestire queste dinamiche.

Il Governo potrebbe così rafforzare il proprio controllo sui manager, i fondi disporre di consigli e comitati di sorveglianza più vicini alle esigenze degli investitori. Le Autorità fiscali e di Borsa, avrebbero maggior facilità nell’investigare sull’attività dei fondi che di conseguenza diventerebbero maggiormente trasparenti. Un circolo virtuoso che aspetta solo di essere messo in pratica.

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