Una proposta per gli esclusi

di Antonio Campagnoli

La recente crisi finanziaria ha messo in luce una serie di vulnerabilità del sistema finanziario mondiale. Essa ha evidenziato che i rischi che si concretizzano in un settore possono essere trasmessi rapidamente a tutto il sistema finanziario, con gravi ripercussioni per tutti i partecipanti al mercato.
In tale contesto è cresciuta l’attenzione degli operatori e delle autorità di vigilanza verso il controllo dei rischi. La crisi ha di fatto appalesato le difficoltà e le incertezze degli operatori di stimare i flussi finanziari attesi dagli investimenti e – nei modelli discounted cash flow – dei relativi fattori di attualizzazione. Nel settore dei fondi immobiliari la recente comunicazione congiunta Consob – Banca d’Italia in tema di “processo di valutazione dei beni immobili dei fondi comuni di investimento” rappresenta un passo importante verso l’innalzamento della trasparenza nel campo delle valutazioni dei fondi immobiliari.
In linea con quanto previsto nel documento diventa essenziale per un corretto processo di valutazione disporre di un sistema efficace di gestione del rischio in grado di mappare, misurare e controllare i rischi di settore influenzando, pertanto, i processi decisionali aziendali e consentendo ai manager di compiere scelte razionali anche nella fase di valutazione degli asset.
Tuttavia le prassi finora consolidatesi prevedono approcci sostanzialmente di tipo qualitativo all’analisi e alla misurazione dei rischi immobiliari. 
La metodologia di valutazione qualitativa dell’esposizione al rischio, si basa sostanzialmente sulla tecnica dell’auto-valutazione effettuata dai manager e si fonda sull’identificazione dei fattori di rischio (rischi tecnici immobiliari, rischi di natura finanziaria, rischi di ALM (“Asset Liability Management”), rischi operativi, altri rischi, e sull’attribuzione dei relativi punteggi (di solito da 1 a 5) in funzione dei rischi percepiti e della loro probabilità di generare perdite di natura economica e/o patrimoniale per i fondi.
Tecniche queste, piuttosto soggettive e non facilmente utilizzabili nel passaggio a un algoritmo quantitativo necessario per quantificare – nei modelli discounted cash flow – il premio per il rischio dell’investimento nello specifico immobile.
La gestione efficiente della dimensione transfrontaliera di questi rischi richiederebbe, invece, una comprensione comune degli obblighi dei gestori di fondi di investimento alternativi, un approccio coordinato alla sorveglianza dei processi di gestione dei rischi, della governance interna, della trasparenza e di metodologie maggiormente oggettive di misurazione del rischio che consentano agli investitori di comprendere ragionevolmente la natura e i rischi del prodotto per prendere decisioni di investimento informate.
In merito ai contenuti specifici di tale informativa, sarebbe auspicabile che la loro individuazione non possa prescindere da soluzioni basate anche su indicatori sintetici per il rischio, di natura quantitativa, supportati da robuste e oggettive metodologie sottostanti. In questa prospettiva un utile indicatore per misurare il grado di rischio del prodotto potrebbe essere l’adozione di misure basate sull’analisi della distribuzione di probabilità, sia retrospettive sia prospettiche, delle simulazioni del controvalore del VAN (“Valore Attuale Netto”) del fondo ad alcune variabili principali tra cui, ad esempio, i canoni di locazione, le CAPEX (“Capital Expenditure”) e il tasso di attualizzazione. Tale proposta potrebbe essere sviluppata anche in vista della prossima direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi ovvero degli organismi di investimento collettivo che non rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva 2009/65/EC sugli Ucits (“Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities”): cosiddetta Directive on Alternative Investment Fund Managers (AIFMs).

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