Finanza e Islam, un affare da 1.000 miliardi di dollari

di M. Matthieu
Courtecuisse
co-fondatore e direttore generale di SIA CONSEIL

Ijara, Moucharaka, Mourabaha, sono termini con i quali bisognerà cercare di familiarizzare rapidamente.
Il mercato finanziario islamico, che secondo le ultime stime ha un valore potenziale che si attesta tra i 600 e gli 800 miliardi di dollari, e dal 2003 ha messo regolarmente a segno un incremento annuo intorno al 15%, nel 2010 dovrebbe arrivare a valere all’incirca 1.000 miliardi di dollari.

Questo tasso di crescita sostenuto si spiega, innanzitutto, con il rialzo dei prezzi delle materie prime, che ha generato un ampio surplus di liquidità nei Paesi del Golfo e del Sud-est asiatico.

Anche gli attentati del 11 settembre 2001 hanno avuto un considerevole impatto su questo mercato, poiché dopo quegli eventi sono stati rimpatriati verso i Paesi d’origine importanti fondi medio-orientali (petrodollari, in particolare).
Inoltre, se si considera che il 25% circa della popolazione mondiale è musulmana e che la coscienza religiosa è diventata sempre più parte integrante della vita quotidiana in queste zone del mondo, si aprono nuove e dinamiche prospettive per gli investitori privati che vogliono coniugare guadagno e religione.

Secondo alcune proiezioni, nei prossimi otto/dieci anni, una quota compresa tra il 40% e il 50% del risparmio totale della popolazione musulmana nel mondo sarà gestita da banche islamiche (contro il modesto 10% attuale).

Per le grandi piazze finanziarie europee, la sfida principale è rappresentata proprio dal riuscire a intercettare questi consistenti flussi finanziari.

Tutte le grandi banche occidentali si sono già attrezzate per raggiungere questo obiettivo e a livello nazionale e internazionale sono in via di creazione una serie di filiali o poli «islamici», che comprende anche l’industria bancaria al dettaglio.


Ma a fronte del tempismo manifestato dai concorrenti inglesi, tedeschi o svizzeri, alcuni Paesi europei hanno accumulato invece un certo ritardo.

L’organismo di controllo inglese Financial Services Authority (FSA) ha dato prova di grande reattività nella comprensione delle specificità degli istituti finanziari islamici, facilitando così la loro integrazione all’interno del sistema bancario britannico.

Il Regno Unito conta attualmente tre banche completamente islamiche: Islamic Bank of Britain, European Islamic Investment Bank e Bank of London and Middle East, e si stanno esaminando le nuove candidature nel settore bancario-assicurativo.

Oltre al lavoro svolto dalle authority, i legislatori inglesi hanno partecipato anche alla creazione di un mercato britannico attivo, corredato dalle relative autorizzazioni giuriche necessarie all’esercizio di prodotti finanziari islamici.
Infatti, per gli istituti finanziari islamici il rendimento non si basa sul tasso di interesse (chiamato «Riba» in arabo, vietato nell’Islam), ma su una remunerazione legata alla performance dell’attivo di riferimento, «spalmata» sulla durata del finanziamento.

Quindi i prodotti islamici si strutturano a seconda delle tecniche di presa di partecipazione nei profitti e nelle perdite (come Moucharaka, che ha lo scopo di dividere non solo l’utile, ma anche un’eventuale perdita), di acquisto dei beni seguito dalla rivendita (Mourabaha, una delle forme di finanziamento più diffuse, che corrisponde a una particolare variante della vendita, in cui il venditore menziona espressamente il costo della merce acquistata e rivenduta con un beneficio), o ancora di credito-leasing (Ijara, un contratto nel quale la banca o il finanziatore compra e affitta i beni dietro il pagamento di un compenso).
 
Le autorità britanniche hanno dovuto quindi compiere uno sforzo di adattamento per correggere le anomalie fiscali generate dalla presenza sul mercato di questi nuovi prodotti: doppia percezione delle tasse immobiliari, non presa in conto delle deduzioni fiscali nell’acquisto finalizzato alla vendita, o sottomissione alla tassazione sulle società in caso di transazioni fatte da clienti stranieri con una controparte britannica.

In Francia, il mercato della finanza islamica si limita, per il momento, a qualche operazione di finanziamento immobiliare sotto forma di Mourabaha (acquisto seguito da vendita del bene già esistente o da costruire), utilizzato unicamente dalla clientela professionale.

Eppure, da qualche indizio si inizia a intravedere una certa presa di coscienza sul ritardo accumulato a livello nazionale e una certa volontà di recuperare il tempo perso in materia di finanza islamica.

Nel dicembre del 2007 si è tenuto, infatti, a Parigi il primo Forum Francese della Finanza Islamica, a cui hanno preso parte numerosi protagonisti dei mercati finanziari.

Poiché appare ormai evidente che non è più possibile ignorare una manna da 600 miliardi di dollari in cerca di investimenti, le sfide per l’Europa sono molteplici e riguardano l’insieme dei poli bancari: dalla banca di dettaglio alla banca d’investimento, passando per la gestione finanziaria pura.


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