I dati non perdonano!

Il dollaro americano, dopo aver rotto i supporti di breve a 1.2620, nella mattinata di venerdì ha perso terreno nei confronti della moneta unica, non riuscendo a recuperare terreno sulla scia dei payrolls. Questa mattina lo ritroviamo a caccia dei livelli violati sul finire di settimana scorsa.
Commentare i dati sul mercato del lavoro americano sembra persino inutile. La gravità della situazione è risaputa e la drammaticità del trend in atto, che vede la media dei posti di lavoro distrutti negli ultimi 3 mesi attestarsi a 644.000 unità (quasi due milioni di famiglie in meno di 100 giorni), si commenta, purtroppo, da sola. Anche il tasso di disoccupazione è consequenzialmente cresciuto, aiutato anche dall’incremento della base di calcolo di tale indicatore, la forza lavoro (persone disoccupate che attivamente ricercano un lavoro), portandosi all’8.1%. Tutto questo ormai non stupisce il mercato che sembra rassegnato a dover digerire una brutta notizia dietro l’altra senza mostrare eccessive reazioni. Ma il motivo di questo comportamento è fondamentalmente dettato dalla paura. Paura che assale tutto il mercato, anche i più grossi investitori. Paura dettata dalla quasi completa ignoranza (è brutto da dire ma pensiamo proprio che sia così) circa la futura evoluzione dell’economia. Paura che ogni giorno sia quello in cui verrà annunciato l’ennesimo collasso di qualche big. Anche da Dubai arrivano notizie che contribuiscono ad appesantire il sentiment comune: licenziamenti consistenti, nuovi ingaggi (soprattutto di lavoratori indiani) bloccati, aeroporti pieni di auto lussuose abbandonate da manager. La globalità della crisi, come se già non fosse abbastanza, sembra crescere ulteriormente andando ad attaccare anche quegli angoli che sembravano godere di una sorta di “immunità”.
Intanto dalla BCE arrivano commenti che potrebbero far pensare ad un rallentamento nella politica di riduzione del costo del denaro. In un mercato in cerca di rendimenti, una mossa del genere potrebbe attirare capitali consistenti. Se a questi possibili acquisti di euro, abbiniamo la situazione vissuta dal dollaro americano, potremmo assistere ad un rialzo della quotazione eurusd nel medio termine, ma questo è tutto da vedere, anche le aspettative di mercato, in questo momento, assomigliano ad una banderuola. In linea con questo discorso, non dimentichiamoci della zona Australia e Nuova Zelanda, che stanno iniziando a non tagliare più i tassi…
Per quanto riguarda la settimana entrante, i dati macro che verranno pubblicati probabilmente non andranno ad impattare in maniera importante sui mercati: i più importanti saranno le vendite al dettaglio attese a +1% in pubblicazione martedì e l’indice di fiducia dell’Università del Michigan (preliminare per marzo) venerdì, atteso a 55.0.

Provando a capire quali potrebbero essere i prossimi punti chiave dell’eurodollaro non possiamo non osservare un grafico giornaliero. Il rafforzamento del dollaro da metà dicembre continua seppur con una rallentata intensità. Il livello di supporto del cambio ora può essere scomposto in due, da prima possiamo trovare 1.2460 ed in un secondo momento il famoso doppio minimo di 1.2330: come resistenza per oggi 1.2755 e più in la, ma sicuramente più importante, 1.30 figura (massimo da un mese a questa parte e coincidente con il 23.6% di ritracciamento del movimento di discesa da 1.4720 a 1.2460).
Analizziamo subito un cross centrale per capire i movimenti dello Yen: il UsdJpy. Questo cambio pare avere minimi di breve termine sempre superiori che stanno spingendo il cross verso 98,50. Ricordiamo che all’avvicinarsi del livello 99,00 ci sarà più volatilità e più indecisione in quanto è un livello psicologicamente importante sia per gli orsi che per i tori. Nel frattempo, nel brevissimo termine, finché si rimane sopra 98,10 si può cercare di acquistare sui ribassi e avere come obiettivo 98,40-50. Attenzione invece a discese sotto 98,10 che possono estendersi fino a 97,70.

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