L'Oracolo – Cosa non si fa per lavorare 2

La versatilità è apprezzata da chiunque, in qualunque campo. La rigidità annoia, ma soprattutto è rischiosa. Tanto più all’interno di contesto che muta in continuazione, generalmente in reincarnazioni di volta in volta meno agevoli. E così, seguendo un report newyorkese del Corriere della Sera, si scoprono diversi personaggi in cerca d’autore. O, per essere meno pirandelliani, in cerca di datore. Rimane salda la necessità di forti capacità nell’ambito del trasformismo.

Prendiamo, ad esempio una tale Takishea Hunte. Fino a settembre lavorava come “program manager” alla Lehman Brothers; ora la si trova a parlare coi reclutatori della AQR Capital Management, una società di consulenza finanziaria: “Sono stata nove anni alla Lehman, ho messo da parte qualcosa per i momenti difficili. Voglio viverli senza troppo affanno. Cerco lavoro nelle società di consulenza, ma sono flessibile. Qui alla fiera sto dando il mio profilo professionale a imprese di vario tipo. Ma voglio un impiego stabile, non lavoretti saltuari”.

In risposta a queste vicende arrivano le cosiddette “job fair”. Un carrozzone accaldato e sbraitante di aspiranti lavoratori, accumulati, scremati e se(le)zionati a dovere da chi il lavoro lo da. A New York (ma è una realtà presente ovunque, Italia compresa),  Monster (società tra i leader del recruiting on line) ne ha appena organizzata una: 3720 aspiranti componenti del personale, per 90 aziende con i relativi stand.

Ecco Thomas Zakrzenski, figlio di polacchi di Cracovia immigrati negli Usa all’inizio del novecento. “Sono stato per 28 anni a Bankers Trust. E altri 10 anni, bellissimi, a Bank of New York. Ero vicepresidente di una delle società del gruppo. Ma a novembre c’è stato il terremoto”. Quanti anni ha? “Sessantasei”. E che ci fa qui? “Cerco un lavoro, come gli altri. Certo, a differenza di altri non sono spinto dal bisogno. Potrei starmene in pensione. Abito in New Jersey, in una bella zona residenziale vicino ad Atlantic City. Ma non so stare fermo. I vicini ne approfittano chiedendomi aiuto per i problemi di manutenzione degli edifici, mia moglie mi ha messo a fare le pulizie: un inferno. Meglio rimettersi sul mercato”.

La volontà di rimettersi in gioco non manca. Randy Brooks, lo si trova in fila davanti allo stand di Macy’s. “Cercano venditori. Io faccio la guardia privata, alla Ball Security. Spesso lavoro di notte, voglio cambiare. Ma dietro un bancone non mi ci vedo”. Oppure Itamar, un ebreo ortodosso dall’aspetto altrettanto ebraicamente ortodosso; aspira a un lavoro nel sociale fornendo i suoi dati a varie organizzazioni, compreso il St Vincents Catholic Medical Center. Lasciamo da parte la religione “Per me basta che si tratti di lavori nel campo della solidarietà sociale”. Addirittura c’è chi, come Jamie Dunst, un disegnatore grafico che lavorava per la rivista Time Out. Si presenta davanti al banco della Petsmart, cliniche per animali domestici: “Bisogna essere flessibili. E poi ho sempre amato cani e gatti”.

Viene da pensare a quanto la vita sia estremamente difficile, ma al tempo stesso meravigliosamente affascinante. La pace perpetua (interna all’individuo) è un’utopia; un limbo ovattato, ornato con le false vesti dell’eternità dalla nostra consapevole incoscienza.

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