Private Equity – Fondi cauti ma alla ricerca di eccellenza

La crisi economica nasconde anche delle opportunità. Lo sanno bene i fondi di private equity che stanno valutando quali occasioni può offrire l’attuale contesto di mercato per il loro segmento. Le aziende in difficoltà con le banche, a causa della stretta creditizia, potrebbero, ad esempio, richiedere l’aiuto di un fondo di private equity per superare le difficoltà attuali.

«L’analisi per vintage degli investimenti nel settore del private equity mostra indubbiamente che le operazioni realizzate a cavallo di periodi di recessione hanno spesso garantito ritorni più interessanti» sottolinea Marco Fumagalli partner e amministratore delegato di 3i Italia. «Tuttavia la congiuntura attuale ha caratteristiche particolari» prosegue Fumagalli. Nel senso che essendo scaturita non da una fase di ribasso del ciclo economico ma originata da una crisi del credito, sposterà di gran lunga i tempi di ripresa.

E il private equity può fornire un appoggio alle società. Anche perché oggi è cambiato il rapporto tra aziende italiane e fondi di private equity. In un recente dibattito organizzato a Milano da MS&L Italia, gli operatori hanno parlato anche di come sia evoluto il rapporto tra i manager dei fondi e gli imprenditori. Soprattutto italiani, che inizialmente non vedevano di buon occhio il profilarsi di questi fondi, ma oggi sono più propensi a interagire con loro. Anche perché per un’azienda avviare una collaborazione con un fondo di private equity può rivelare delle complessità. «All’origine di un rapporto di collaborazione tra un fondo di pe ed un’azienda, oltre allo scopo naturale di creazione di valore, vi sono spesso alcune situazioni contingenti di cui tenere conto» precisa Edoardo Lanzavecchia, managing partner di Alpha Group. «In molti casi si tratta di situazioni che richiedono un intervento esterno. Ad esempio, la perdita di efficienza in una particolare area di business, il persistere di divergenze all’interno della struttura proprietaria, la difficoltà nel negoziare con le banche o nell’attrarre bravi manager, oppure il desiderio di crescere per linee esterne». Oggi invece oltre che ad essere cambiato il rapporto tra azienda e fondo si è modificata anche la strategia di investimento di quest’ultimo. «La dimensione è solo una delle caratteristiche che prendiamo in considerazione quando stiamo valutando un investimento» precisa Marco De Benedetti managing director di The Carlyle Group. «Per noi è più importante verificare che l’azienda abbia un brand, un prodotto, un know how o una tecnologia tali da renderla eccellente e, soprattutto, che tutte queste caratteristiche non siano state sfruttate appieno» continua De Benedetti.

E nel momento attuale non ci sono settori o comparti più in vista di altri. «Al di là degli specifici comparti le aziende in posizione di vantaggio in questa fase sono quelle che hanno una maggiore flessibilità e spazio di manovra» dichiara Fumagalli. «Sono idealmente le aziende leader nei mercato frammentati, ovvero i mercati dominati da pochi operatori con quote di mercato molto significative» chiosa Fumagalli. Allora quale tipo di operazioni saranno più frequenti? «Un dato certo è la sparizione dell’acquisition financing per operazioni di buy out che superano 1 miliardo di euro. Il mercato per operazioni più piccole tra i 100 e i 500 milioni di euro, è più frizzante e presenta anche in questo scenario opportunità interessanti» prosegue Fumagalli, anche se è comunque necessario prestare cautela. Certo il sistema produttivo italiano, costituito da quattro milioni di piccole e medie imprese, quelle che hanno contributo alla crescita della ricchezza nazionale, potrebbe avere bisogno del sostegno di tali fondi ma per gli operatori è ancora necessario essere avveduti e capire bene chi reggerà meglio la crisi.

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