Economia e Politica – Il liberismo tradito

L’addio al liberismo significa, ad esempio, il funerale di qualsiasi progetto di privatizzazione. Il ministro dell’economia Giulio Tremonti, che del ritorno allo statalismo è l’alfiere, mantiene stretta la presa su Eni, Enel e Finmeccanica che garantiscono pingui dividendi alle esangui casse pubbliche. Poco importa a Tremonti che la Commissione Europea abbia sonoramente condannato quella “golden share” che proprio Tremonti cinque anni fa introdusse nello statuto delle società dove lo stato è l’azionista di maggioranza relativa. Importa invece che i grandi gruppi pubblici restino sotto l’influenza della politica perché, ad esempio, l’Eni serve per rinsaldare l’amicizia tra Berlusconi e Vladimir Putin e Muhammar Gheddafi (che poi ripaga il governo di Roma ad esempio investendo proprio nell’Eni o nell’Unicredit, per mettere sotto schiaffo il banchiere ulivista Alessandro Profumo), o Finmeccanica, prima dell’avvento di Barack Obama, era l’ideale testa di ponte del patto contro le “forze del male” tra lo stesso Berlusconi e l’ex presidente George W. Bush che ha alimentato le ricche commesse dell’industria della difesa.
Fin qui la difesa strenua dello “status quo”, ma allo stesso tempo sono finite sul binario morto le altre privatizzazioni annunciate: da quelle minuscole come Tirrenia a quelle più impegnative di Poste italiane.

E quando le privatizzazioni sono state fatte, come nel caso Alitalia, sono servite a due scopi. Da un lato a scaricare le perdite sulle tasche dei contribuenti e a privatizzare i profitti nelle mani di pochi “capitani coraggiosi”; dall’altra ad aggiungere il danno alle beffe. “Mazziati” gli azionisti Alitalia, che si sono ritrovati con carta straccia in mano, gli obbligazionisti della compagnia di bandiera sono stati “salassati”.
 

L’addio al liberismo significa, ad esempio, che nel mondo del credito è andato in scena un gigantesco inganno. Da un lato i Tremonti bond paiono essere una forma corretta di intervento pubblico non invasivo nella struttura privata delle banche sotto la forma di obbligazioni che vano a rafforzare il patrimonio. Dall’altro, però, si crede di poter controllare l’erogazione del credito alle imprese tramite le prefetture. E fin qui si tratterebbe solo di una bizzarria, conto tenuto che Banca d’Italia ha tutte le competenze in materia di vigilanza sui fidi.

Ma c’è molto di più. Attingendo alla gigantesca riserva del risparmio postale e con la scusa di mobilitare risorse pari a 10 miliardi per la crisi economica, nella finora quasi assoluta indifferenza degli osservatori finanziari, politici e sindacali, Tremonti si sta facendo la “sua” banca tramite la Cassa Depositi e Prestiti guarda caso controllata dal Tesoro. Le dimensioni finanziarie del nuovo “Moloch” pubblico sono impressionanti perché lo stock di risparmio postale su cui l’amministratore delegato della Cassa, Massimo Varazzani, uomo fidato di Tremonti, sta seduto è di 175 miliardi; mentre il patrimonio netto del braccio armato di Tremonti è di 9,7 miliardi, l’attivo è di 210 miliardi e le partecipazioni (Enel, Eni e Terna fra le altre) valgono più di 14 miliardi di euro. Poco importa, anche in questo caso, che il risparmio postale sia per sua natura frutto del lavoro di un ceto basso e medio che non vuole “rischi d’impresa” e poco importa che la Cassa, così operando, dovrebbe passare sotto la vigilanza della Banca d’Italia. 
 

A questo proposito il governo dovrebbe fare chiarezza, ma Via Nazionale aspetta dal 2003 che l’esecutivo emani un regolamento per stabilire i requisiti patrimoniali della Cassa. In sostanza si tratta soltanto di sapere dall’esecutivo se l’attività della Cdp ricada nell’articolo 107 del Testo Unico Bancario e l’istituto sia quindi un soggetto la cui vigilanza è materia appunto di Banca d’Italia. Ma sarà il governo Berlusconi in grado di dare questa risposta in qualunque modo? Oppure preferirà che il nuovo Moloch agisca indisturbato in una sorta di limbo? L’unico a finire nell’inferno, infatti, è stato il liberismo di un imprenditore che è nato con la politica e che ancora oggi, attraverso la politica, fa impresa. 


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