MiFID, quella rigida adeguatezza

di Andrea Arcangeli

Nell’ambito delle nuove regole di condotta dettate dalla Direttiva 2004/39/CE (“Direttiva MIFID”) e dalla normativa di attuazione domestica (cfr. Regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 – Nuovo Regolamento Intermediari – e Regolamento Congiunto Consob – Banca d’Italia del 29 ottobre 2007), rappresenta un’assoluta novità nella prestazione dei servizi ed attività di investimento la distinzione operata tra valutazione di “adeguatezza” (suitability test) e valutazione di “appropriatezza” (appropriateness test). Si tratta di nozioni distinte che attengono alla verifica dell’idoneità delle operazioni di investimento per il cliente, modulate in funzione della natura del servizio prestato e della tipologia di clienti, e hanno diverse funzioni e caratteristiche.

In termini generali, il giudizio di adeguatezza, al pari di quello di appropriatezza, consiste in una operazione logico/deduttiva che consente all’impresa di investimento di valutare se gli strumenti finanziari e/o i servizi e le attività di investimento siano o meno adatti al cliente finale. Seppur solo apparentemente equivalenti, le due valutazioni hanno un impatto profondamente diverso in termini operativi: mentre, infatti, la mancata adeguatezza di una operazione costituisce, nel nuovo quadro regolamentare, un “elemento bloccante” ovvero non consente in nessun caso di poter prestare i servizi di consulenza in materia di investimenti e/o di gestione dei portafogli, la mancata appropriatezza impone un obbligo di disclosure al cliente circa l’impossibilità di determinare se il servizio o lo strumento finanziario sia per lui appropriato con la conseguente facoltà di concludere l’operazione su decisione del cliente.
 
Giova al riguardo rammentare che già nella disciplina previgente era richiamato un principio di suitability (cfr. art. 29 Regolamento Consob n. 11522/98) la cui definizione giungeva a contrario dall’obbligo da parte degli intermediari di astenersi dall’effettuare operazioni “inadeguate” avendo riferimento (i) alla tipologia, (ii) all’oggetto, (iii) alla frequenza e (iv) alla dimensione. Tuttavia l’“inadeguatezza” poteva essere agevolmente superata ove la disposizione di esecuzione fosse ricevuta espressamente dal cliente attraverso un ordine per iscritto (o registrato su nastro magnetico) e l’intermediario avesse fatto ampia disclosure sulle ragioni per cui l’operazione si intendeva inadeguata. Attraverso le nuove regole di suitabilty e di appropriateness, è evidente che il legislatore abbia inteso elevare il livello di protezione con riferimento ai servizi di consulenza e di gestione di portafogli: ratio che appare essere giustificata dal fatto che il risparmiatore meno esperto si indirizzi verso questa direzione e che, dunque, necessiti di essere “educato” ad una corretta gestione del proprio patrimonio.

Ben diverso è il discorso dell’appropriatezza,
rispetto alla quale non è stata prevista alcuna modulazione dell’investimento alle qualità del cliente, ma vi è soltanto una valutazione di rispondenza della singola operazione al profilo dell’investitore. E’ bene sottolineare che, come evidenziato dalle linee guida emanate dalle più autorevoli associazioni di categoria del settore in condivisione con la Consob, il dovere sancito dal legislatore di valutare l’adeguatezza o l’appropriatezza non deve tradursi in una mera obbligazione di risultato da verificare ex post, ma in un obbligo di mezzi, che esige l’approntamento di idonee procedure di valutazione, la cui idoneità deve valutarsi secondo un criterio ex ante. In estrema sintesi oggi, quando l’impresa di investimento non ottiene le informazioni necessarie ai fini della “valutazione di adeguatezza” deve astenersi dal prestare i servizi di investimento di consulenza in materia di investimenti e gestione di portafogli. Viene meno, dunque, la possibilità, prevista dalla previgente regolamentazione, di dare seguito all’operazione evidenziando il rifiuto espresso dell’investitore: prassi, questa, che è stata ritenuta troppo “usuale” in relazione a clientela non esperta. A differenza dell’adeguatezza, il mancato superamento dell’appropriateness test non comporta un diniego dell’offerta del servizio da parte dell’intermediario.

Occorrerà valutare come i due nuovi principi saranno implementati dalle imprese di investimento in modo sostanziale, posto che l’adeguamento formale avvenuto è stato dettato dalla volontà di rispondere a norme di legge più che alla tutela dell’investitore, principio cardine della regolamentazione finanziaria. 

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