Appalti immobiliari: Termitaio tricolore

“I politici mi stavano addosso come cavallette, volevano soldi: io sono una vittima, non un complice». Così Alfredo Romeo, detto “la volpe di Posillipo” si raccontava ai magistrati dei tempi di Mani Pulite. Oggi le cose sono molto cambiate e le vittime della politica sono diventati i complici: l’imprenditore campano è al centro della bufera che ha ripaperto la questione morale nel Pd; mentre le sue società gestiscono, fra le altre cose, il patrimonio immobiliare di città come Napoli, Roma, Milano e Venezia. Romeo è l’emblema che Alberto Statera, giornalista economico di lungo corso, ha scelto per raccontare nel suo ultimo libro (“Il termitaio”, Rizzoli editore) come è cambiata, e in peggio, l’Italia del dopo Tangentopoli.

Il termitaio è il racconto, implacabile, lucido e per molti versi agghiacciante, di come i “signori degli appalti”, condizionano ormai l’operato dei politici italiani, da Nord a Sud, dal Centro alle Isole: un quadro di una corruzione tanto aberrante quanto vasta che è l’altra faccia della medaglia del decadimento morale di una nazione. Forte di una presenza capillare sul territorio, nel corso degli anni Romeo si è infiltrato nel corpo sfinito della politica post-Tangentopoli, partendo dalle sue città per conquistare il cuore di un potere statale orfano dei partiti. La geografia del termitaio italiano è impressionante: a Firenze l’amministrazione di sinistra tresca con Salvatore Ligresti (foto) per l’area del Castello, poi posta sotto sequestro dalla Magistratura, in un vortice di corruzione e di reciproche prebende. Nella gigantesca speculazione immobiliare c’è spazio anche per lo stadio che vorrebbe costruire Diego Della Valle per la sua Fiorentina. Ancora la sinistra imparentata come i signori del cemento e degli appalti determina la sconfitta elettorale di Renato Soru in Sardegna, in singolare commistione con alcune forze della Chiesa; mentre i lucrosissimi appalti per il vertice del G8 alla Maddalena, poi saltato, riportano ancora alla galassia di Ligresti. Dalla Sardegna al Veneto la musica non cambia: a Vicenza il sindaco forzista Enrico Hullweck trattava l’ampliamento a dismisura (e inutile) della base americana e la concessione dell’aeroporto Del Molin; col cambio dell’amministrazione resta la prospettiva di un gigantesco affare immobiliare dove la fanno da padrone i costruttori appoggiati dal governatore berlusconiano Gianfranco Galan, come i Gemmo e i Mantovani; mentre a Venezia sognano e realizzano migliaia di cubi di cemento Bepi Stefanel e Francesco Bellavista Caltagirone. Proprio il Caltagirone di quei Caltagirone, Statera ricorda, che hanno in Francesco Gaetano, l’indiscusso numero uno dei costruttori italiani, il finanziere che fa breccia al Monte dei Paschi di Siena, ma che continua a dominare la scena immobiliare di Roma talvolta a braccetto, talvolta in lotta, con i Mezzoroma o i Toti.

Il termitaio si estende in tutta Italia
, da Pescara al Molise (con l’immenso potere autoreferenziale dell’Anas o di Michele Iorio, dal 2003 commissario al terremoto del Molise) fino agli affari miliardari all’ombra della politica realizzati da imprenditori sanitari-editori, come gli Angelucci (editori di Libero e del Riformista) finiti in pesanti grane giudiziarie proprio come Giuseppe Rotelli, azionista di Rcs, nel cuore del governatore lombardo Roberto Formigoni. E proprio alla Lombardia Statera dedica nel suo libro uno dei capitoli più amari, raccontando il sogno fallito dell’hub di Malpensa grazie all’operato del presidente della Sea, il leghista Giuseppe Bonomi, naufragato sul “salvataggio” dell’Alitalia voluto dal governo Berlusconi per scaricare sulle tasche degli italiani il costo (circa 3 miliardi di euro) del non fallimento della compagnia ad opera di “capitani coraggiosi” che riceveranno in cambio affari e prebende. Le stesse che Statera vede al centro del disastro dell’Expo 2015, espressione dell’inettitudine del sindaco Letizia Moratti, dove ricompaiono i signori del mattone e degli appalti, qui più noti come “sviluppatori immobiliari” come ancora Ligresti, Luigi Zunino, Alberto Rigotti, Marcellino Gavio, ma anche le Generali, Pirelli Re o gli stranieri come Hines.

Al posto delle tangenti, la richiesta adesso è di una “fideiussione politica”:
in un capovolgimento mostruoso delle parti, oggi è l’imprenditore che traghetta, garantisce, accompagna sia la destra sia la sinistra. Statera denuncia l’affarismo impunito che sta affondando l’Italia in un intreccio di cemento, finanza e banche, burocrazie complici, massonerie, consorterie e comitati d’affari. E la conclusione è un’equazione: Provincia corrotta = Nazione infetta.

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