Oppressione fiscale: Italia prima tra i paesi Ocse

Una delle questioni su cui si concentra il dibattito per riportare ordine nel mondo della finanza internazionale è la possibilità di cancellare i paradisi fiscali. Almeno in teoria, questo trova consensi che tendono a essere unanimi, ma meno lo sono sulla conseguenza diretta che una eventuale abolizione di tali paradisi comporterebbe, ovvero la creazione di norme che sostanzialmente regolerebbero uniformemente la materia finanziaria e fiscale riducendo, se non azzerando, la competizione fiscale tra Stati.

L’Istitut Costant de Rebecque, con sede a Losanna – Svizzera, ha dedicato a questo tema una comparazione internazionale del peso fiscale e i diritti degli individui nei 30 paesi appartenenti all’Ocse. Lo studio, analizzato da eFinancialCareers,  presenta alcuni risultati interessanti, anche se ha una visione ancora piuttosto ancorata nella finanza del passato, piuttosto che in quella che si intende costruire per il futuro – per esempio si sottolinea che una eventuale armonizzazione dei regimi fiscali depriverebbe i cittadini dei vantaggi che la competizione comporterebbe, nonché che l’esistenza di aree a bassa tassazione incentiva la circolazione e quindi la creazione di ulteriore capitale nonché la sua accumulazione, appunto tutte idee di una finanza che ormai appare francamente superata visto il collasso che ha portato.

Lo studio sostanzialmente ruota sull’indice di oppressione fiscale e, senza sorprese, l’Italia (insieme alla Turchia) è al primo posto. L’indice creato in base a 18 parametri, che tra l’altro misurano l’attrattiva fiscale, la governance pubblica e la riservatezza (privacy) finanziaria assicurata agli individui, pone la Svizzera come modello assoluto, persino il Lussemburgo ne risulta staccato, mentre la Germania segue in negativo l’Italia a un solo punto decimale di distanza.

Rimane, comunque, il fatto che l’oppressione fiscale italiana ha conseguenze in tutti i campi e anche quello del recruiting finanziario potrebbe subirne gli effetti scoraggiando professionisti internazionali a operare nelle nostre istituzioni. “Dal nostro osservatorio registriamo un ‘appeal’ verso il mondo bancario ancora molto alto, che supera se non sovrasta, le difficoltà del settore e le sue trasformazioni, ridimensionando, così, le differenze tra istituti italiani ed esteri, territoriali e multinazionali e riproponendo come centrale la capacità di individuare e selezionare i talenti migliori”, spiega Andrea Migliorati, business development manager di Randstad Group Italia.

Se di competizione per i talenti si tratta, i migliori talenti confronteranno le convenienze di lavorare in un paese piuttosto che in un altro, in fin dei conti la fortuna della city di Londra è stata assicurata fino alla attuale crisi da uno stuolo di professionisti che vi operavano in un regime di tassazione estremamente favorevole assicuratogli dal governo di Sua Maestà. Al momento, però, almeno in Italia, “dal nostro punto di osservazione, è sempre stata meno stringente la tematica ‘tassazione’”, commenta Migliorati.

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