Londra fa breccia nel muro dei paradisi fiscali, gli Usa ci provano

Non ci sono più i paradisi fiscali di una volta. Quelli dove potevo sostare in un tacito limbo pacifico nomi e danari di gente che conta. L’ultimo scossone a condivisa usanza arriva dall’accordo di ieri tra il Regno Unito e il buon Liechtenstein, come riportato quest’oggi da Il Sole 24 Ore.

L’intesa contro l’evasione fiscale prevede sanzioni ridotte per coloro di cooperare volontariamente con le autorità rivelando i loro conti “segreti” nel principato. Si parla di un massimo di 10 anni di tasse arretrate da pagare per i “pentiti”, con una penale scontata al 10% del capitale evaso. In sostanza, un vero e proprio “saldo” di giustizia, della durata di cinque anni, dall’1 settembre 2009 al 31 marzo 2015. Evidentemente la minaccia di una eventuale chiusura forzata dei conti ha reso il Liechtenstein propenso a un compromesso, essendo l’economia dello stesso basata in larga parte sul turismo. Finanziario. Sono infatti oltre 120 miliardi di franchi svizzeri, pari a circa 68 miliardi sterline, gli asset privati stranieri gestiti dal principato.

Fatto sta che quello che la storia è spesso fatta da grandi e piccole convergenze di intenti, e ciò potrebbe regalare un significato particolare a quanto avvenuto ieri, nella speranza che ciò si muti in un modello anche per altri paesi. Non a caso abbiamo sullo sfondo anche la vicenda Ubs- fisco Usa, dall’impatto ancora più netto (in Svizzera sussiste circa il 30% dell’off shore mondiale) e che vede quest’ultimo fortemente motivato a ottenere i 52 mila nomi di clienti americani della banca svizzera sospettati di frode. Anche in questo caso si potrebbe giungere a un compromesso, i cui insider danno quantificato in circa 10 mila nomi. Orson Welles sosteneva: “in Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno, democrazia e pace cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù”; chissà che la storia questa volta non si mostri più generosa.

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