Chi insidia la regia di Tremonti nelle scelte sui conti pubblici

di Julia Giavi Langosco

Tutto questo e altro ancora spiega la richiesta avanzata da Giulio Tremonti e dal suo alfiere, Roberto Calderoli, ministro per la semplificazione in quota Lega Nord, di un doppio incarico di vicepresidente del consiglio e di ministro dell’economia e della finanza. In pochi amano ricordare in questi giorni di schermaglie interne alle varie anime del governo che in effetti non si tratterebbe di un rimbalzino, di una promozione ex-novo, ma di un ritorno a una primazia che già gli era stata riconosciuta nel 2005, quando, nel precedente governo presieduto da Silvio Berlusconi, in aggiunta all’incarico di vicepremier, Tremonti assunse anche quello di ministro dell’economia, in seguito alle dimissioni di Domenico Siniscalco. Certo, altro è aggiungere ai galloni di vicepremier il fardello di ministro gabelliere, e altra cosa è fare ora il percorso inverso. Sul piano strettamente procedurale, il ruolo di vicepremier, che per il momento gli è stato negato, non gli darebbe alcun potere in più. In consiglio dei ministri disegni di legge e decreti legge continuerebbero a seguire la solita trafila. Altro, invece, è discorso in termini di regia della politica economica. Tremonti, che ha appena sventato un frettoloso colpo di forbice sull’Irap, lo sa bene. E, da ex-giovane socialista, sa altrettanto bene che “un istituto è un istituto” per dirla in sindacalese.
Ovvero, conquistata una posizione una volta, si deve cercare di non farsela sfilare di mano una seconda. E in momenti di stress economico come questo, il rischio che gli vengano sottratti strumenti di lavoro importanti è tutt’altro che remoto. Un po’ per il timore che Nicolas Sarkozy acceleri ulteriormente con il taglio della taxe professionnelle (equivalente dell’Irap) rimandato per il momento al 2010, un po’ per il pressing dei cosiddetti ministri della spesa, agli occhi del ministro dell’economia è molto meglio che prima arrivino dati davvero solidi sul gettito dello scudo fiscale e che poi si allarghino i cordoni della borsa. Evitando così di andare in fuori gioco con la Ue. Comunque proprio il direttore generale dell’Agenzia, Antonio Befera, sta verificando di persona quanta fretta ci sia in giro di aderire allo scudo. Pochi giorni fa, a palazzo Altieri, sede dell’Abi e della Banca Finnat, c’erano solo posti in piedi al convegno sull’applicazione della procedura eccezionale di rientro dei beni espatriati. In quell’occasione è emerso che non solo si vogliono far rientrare i cespiti mobiliari, ma che anche dal rimpatrio fiscale degli immobili l’erario potrebbe incassare molte centinaia di milioni in aggiunta a quei cinque miliardi (secondo i pessimisti) o i sette (per gli ottimisti) previsti a conclusione dell’operazione. E proprio a Palazzo Altieri i tanti commercialisti presenti si sono appellati a Maurizio Leo, presidente della commissione bicamerale di vigilanza sull’anagrafe tributaria, per ottenere una proroga oltre il termine del 15 dicembre. Leo non si è sbilanciato, ma ha fatto intendere che per sistemare meglio la questione complessa degli immobili ci potrebbe essere qualche aggiustamento normativo ulteriore. Per il momento solo un peggioramento sembra invece profilarsi tra Tremonti e le grandi banche in relazione al progetto della Banca del Sud. Il fatto che Poste Italiane siano nella partita e che anche in Italia possa scendere in campo un soggetto bancario analogo al Crédit Agricole francese, alle major del credito proprio non va giù.
E l’ipotesi di un ricorso all’Antitrust europeo anche in relazione ai bond Sud a fisco agevolato, fa già sognare gli studi legali più versati nella tutela degli interessi delle banche.
Da Simmons & Simmons a Bonelli, Erede, Pappalardo, da Ughi & Nunziante a Gianni, Origoni, Grippo e partners, sono tutti in attesa che da Alessandro Profumo o da Corrado Passera arrivi l’attesa telefonata.

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