La guerra dell’acqua

Altro che ponte sullo Stretto, per rimettere in sesto il sistema idrico italiano servirebbero soldi per costruirne dieci, per un totale di 62 miliardi di euro. Sono 8 milioni gli italiani che non hanno accesso all’acqua potabile, 18 milioni che bevono quella non depurata, con situazioni drammatiche soprattutto nel Sud.
Questa situazione è il frutto di vent’anni di trascuratezza del settore idrico, senza la costruzione di nuovi acquedotti e senza la manutenzione di quelli già esistenti, spese quasi scomparse dai bilanci statali.

I soldi per risolvere il problema lo Stato non li ha, seppur non manchino mai per pagare gli stipendi parlamentari più alti d’Europa. Si pensa dunque, dalla parte della maggioranza, di ricorrere alla gara d’appalto e alla quotazione in Borsa, mentre l’opposizione combatte affinché l’acqua resti un bene comune, come diritto fondamentale dell’uomo. In mezzo a questa schermaglia di proposte e principi si trova l’opera di alcuni comuni che hanno gestito a basso costo e in maniera eccellente il sistema idrico e non intendono quindi alienarlo a privati.
Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti aveva già in passato proposto un decreto sulla privatizzazione, ma si era rivelato inadeguato ed era stato di conseguenza respinto. Adesso si ritorna alla carica, con l’appoggio anche della Lega. Tuttavia contro la manovra si è sollevata un’onda di proteste e opposizioni, soprattutto dai comuni “virtuosi”, che non vogliono cedere il loro sistema a Spa con sede magari all’estero dopo aver gestito la propria acqua in maniera ineccepibile.

Emilio Molinari, presidente del Contratto mondiale per l’acqua, ha dichiarato:”In nessun altra parte d’Europa si vieta alla mano pubblica di conservare la maggioranza azionaria. Il rischio è che finisca tutto in mano alle grandi Spa o multinazionali così, se il servizio non funziona, invece di rivolgerti al tuo sindaco ti toccherà parlare con un call center”, commenta sarcastico.
“Privatizzare è l’ultima speranza per adeguarci all’Europa”, ribatte il governo.
Ma in realtà proprio l’enormità dei costi di adeguamento del sistema acquifero falsa la gara d’appalto, mettendo automaticamente tutto in mano alle grandi aziende quotate, che sono le uniche ad avere i fondi per mantenere dei costi così alti.

L’incertezza sul futuro dunque aumenta, assieme al ritardo, che fa crescere la previsione di un ulteriore peso sulle spalle dei contribuenti per un ammontare di 115 euro pro-capite l’anno di tasse sull’acqua. Non si capisce poi perché abbiamo i tributi più bassi d’Europa sul sistema idrico (in sfacelo), che nessuno vuole pagare, mentre per i costi di luce e gas più alti del continente nessuno si lamenta.

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