La valuta americana e gli Etf fanno volare il metallo giallo

di Ugo Bertone

Il fenomeno, per giunta, viene alimentato, al pari della speculazione borsistica, dal “carry trade” sui mercati finanziari d’oltre Oceano: nulla è più facile, di questi tempi, che indebitarsi in dollari a tassi che tendono a zero per acquistare beni reali, metalli preziosi compresi. Inoltre, a favore dell’oro gioca lo shopping dei Paesi emergenti, ansiosi di ridurre la dipendenza delle riserve dalla valuta americana.
L’operazione più clamorosa, si sa, è stato il recente acquisto, per un importo di 6,7 miliardi di dollari, di 200 tonnellate di oro del Fondo Monetario da parte della banca centrale indiana.
Ma analoghe operazioni sono state condotte negli ultimi mesi dalla Cina, che ha raddoppiato le riserve in oro, dal Messico e dalle Filippine, per citare i casi principali (ma persino lo Sri Lanka si è segnalato tra gli acquirenti). Nonostante questi acquisti, inoltre, le riserve in oro rappresentano meno del 10% delle riserve dei Bric (Brasile, Russia, India e Cina). È abbastanza facile, perciò, prevedere che le banche centrali, assorbiranno abbastanza agevolmente quel che resta dello stock (406 tonnellate in tutto) che l’Fmi ha ufficialmente messo in vendita nello scorso settembre.
A questo punto, le previsioni parlano di nuovi record in arrivo, almeno fino a quota 1.180 dollari sull’onda di un trend che dura da quasi due anni in un mercato profondamente cambiato.
Dal 2007, infatti, Etf ed Etc hanno assorbito quantità crescenti di metallo giallo, al punto che, ad esempio, l’SPDR Gold emesso da State Street e quotato a New York oggi è al sesto posto nel mondo per quantità di oro posseduto (davanti alla Svizzera). I fondi trackers, a metà 2009, possedevano la bellezza di 1.732,5 tonnellate d’oro per un importo che sfiora i 56 miliardi di dollari.
Insomma, gli strumenti finanziari hanno ormai sostituito il possesso fisico dei lingotti e compensato largamente la frenata della domanda dell’oreficeria n(in calo del 22 per cento).
Il prossimo futuro dell’oro, insomma, parla il linguaggio del Toro, anche se buona parte del guadagno rischia di essere vanificata dal calo del dollaro. Ma c’è un’altra incognita: la pioggia di acquisti che ha ingrossato gli exchange traded fund, in prospettiva, rischia di innescare una bolla finanziaria di grandi proporzioni. Anche perché, a giudicare dall’andamento degli ultimi trenta anni, il metallo giallo non sembra meritare la fama di rifugio contro l’inflazione.

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