L’industriale nella stanza dei bottoni

di John Hawkins

  Forse, alla vigilia del suo sessantaduesimo anno, non è riuscito a ricoprire quel ruolo che fu di Giovanni Agnelli, l’uomo-simbolo del capitalismo privato italiano. Ma certamente il patron di Pirelli, fresco reduce dalla presentazione londinese dell’ultimo supersexy calendario della casa della Bicocca, sta ormai saldamente seduto nella stanza dei bottoni, a cavallo di un pneumatico.
A partire da quella importantissima, per quanto simbolica, vicepresidenza di Mediobanca che lo ha messo in contatto diretto col numero uno Cesare Geronzi, che della bella casa di Tronchetti, arredata con gusto dalla moglie Afef Jnifen, nella centralissima via Bigli a Milano è ospite frequente. Senza dimenticare che Tronchetti è pure membro italiano della famosa Commissione Trilaterale, un’organizzazione dipinta da molti come la “Spectre” del capitalismo globale, ma che è comunque un salotto influente in termini di componenti finanziarie e relazioni internazionali.
“L’industriale” si intitolava simbolicamente un libro un po’ agiografico su Tronchetti iscritto quasi quattro anni fa. Allora Tronchetti era precipitato mani e piedi nell’avventura del gruppo telefonico rivelato da Roberto Colaninno e dalla razza padana. Un’avventura imprenditorialmente difficilissima e finanziariamente sciagurata perché, partita sotto il peso quasi schiacciante di un acquisto fatto a debito, inciampata nella grana politica del famoso “piano Rovati” maturato con l’ormai morente governo di Romano Prodi, causò al gruppo della Bicocca oltre 3,5 miliardi di euro di minusvalenze e lasciò un’indagine giudiziaria dai risvolti ancora oscuri sulla famosa struttura della “security” Telecom con a capo Giuseppe Tavaroli, che sfiorò lo stesso Tronchetti e il suo braccio destro Carlo Buora.
Due anni dopo i problemi di Telecom sono gli stessi, se non più gravi: l’amministratore delegato Franco Bernabè, difeso con sempre minore convinzione dai soci bancari (Intesa e Mediobanca) è sotto il fuoco incrociato della Politica e del governo di Silvio Berlusconi che sogna di far mettere a Mediaset le mani sulla rete del gruppo tlc; mentre i grandi azionisti riuniti in Telco si leccano le ferite del crollo del titolo e qualcuno come Benetton ha deciso di salutare la compagnia.
Tronchetti, invece, è davvero tornato a fare “l’industriale”, come esigeva in fondo la sua formazione tutta meneghina, cresciuta fra i salotti della grande borghesia lombarda, che lo ha visto sposarne due eredi “doc” come Letizia Rittatore Vonwiller prima e Cecilia Pirelli poi, figlia di quel Leopoldo di cui proprio Tronchetti fu collaboratore prezioso anche nel momento più difficile della scalata (fallita) alla tedesca Continental.
E la finanza? L’avventura in Telecom è costata a Tronchetti lo strascico di una severa ristrutturazione del debito a monte di Pirelli, nella Camfin, dove grazie sia a Mediobanca sia alle relazioni personali si è seduto un altro industriale “doc” come Vittorio Malacalza.
E grazie alle buone relazioni con banchieri come Corrado Passera e Gerardo Braggiotti è maturato il salvataggio dell’altro pezzo dell’impero tronchettiano, quella Pirelli Real Estate “sistemata” tra le braccia della Fimit Sgr di Massimo Caputi dopo essere nata e cresciuta grazie all’operato dell’amico e compagno di regate Carlo Puri e aver raggiunto con 19 fondi immobiliari un patrimonio gestito di 15,1 miliardi.
L’indebitatissimo mattone di Tronchetti, insomma, non ha fatto la fine di quello di Luigi Zunino. Anche a questo può servire essere cresciuto tra gli austeri salotti del “Cappuccio” meneghino, vestirsi da “Bardelli” ed essersi laureato in Bocconi, anzichè comprare e vendere cavalli in quel del Monferrato.
E sarà l’ennesima scena simbolica del capitalismo italiano quella di vedere quest’inverno Tronchetti e Afef sciare sul Corvatsch o ballare sulla pista del King’s di Sankt Moritz, mentre Zunino è costretto a disfarsi di una quota che aveva comprato proprio nel Badrutt Palace, l’hotel più prestigioso della perla dell’Engadina.

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