Quell’occasione persa

Ecco perché, in fondo, sono pochi quelli rimasti sorpresi dal “ritiro” del decreto legge n. 1784 “Bonfrisco”, che avrebbe equiparato il trattamento fiscale applicato ai fondi italiani (tassazione in capo al fondo del 12,5% sul rendimento positivo ottenuto ogni anno) e a quelli esteri (tassazione al momento dell’incasso del provento). E pensare che non si trattava neanche di una scelta di fazione, dato che la finalità principale era quella di risolvere la procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea (si tratta di libera circolazione del capitale), a causa del diverso approccio di tassazione applicato ai fondi esteri non armonizzati e a quelli armonizzati (la ritenuta era a titolo di acconto solo per i proventi conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali).
Ovviamente, con l’aiuto della solita logica nostrana del “Io speriamo che me la cavo”, si è riusciti a risolvere la diatriba europea (i fondi armonizzati ora avranno anche loro “costantemente” il 12,5% di acconto), ma ciò che davvero sarebbe stato rivoluzionario e utile è stato messo da parte; salvati così capra (una metafora animalesca che ben si addice all’erario, abilissimo nel raschiare tutto quello che trova) e cavoli (amari con la CE). Insomma un’occasione persa bella, come ci confermano gli stessi protagonisti del risparmio gestito.
Che i portavoce italiani di italiche ragioni rimpiangano la mancata spinta per il made in Italy è facilmente intuibile, ma che a farlo siano anche i rappresentanti di case estere, è un aspetto che ci dovrebbe fare ancor più riflettere sul pasticcio combinato. Infatti, dopo la voce di Attilio Piero Ferrari, amministratore delegato di Arca SGR, che ritiene “che l’equiparazione fiscale sia un passo fondamentale da compiere e pertanto rimarchiamo che, in queste condizioni, i prodotti di diritto italiano sono sfavoriti da una imposizione fiscale nel fondo, rispetto a quelli esteri che hanno l’imposizione fiscale in capo al sottoscrittore”, ecco anche quella di Marco Barbaro, amministratore delegato di BNP Paribas Asset Management: “Il nostro parere è in linea con quanto l’associazione di categoria va sostenendo da diverso tempo, e cioè che l’eliminazione della disparità di trattamento è necessaria per restituire competitività all’industria italiana del risparmio gestito. È opportuno notare che l’asimmetria di trattamento non si traduce solamente in una penalizzazione dei prodotti domestici rispetto agli organismi esteri nel raffronto delle performances (nette contro lorde), ma rappresenta anche un ostacolo alla flessibilità di utilizzo di veicoli italiani per l’implementazione delle proposte più innovative, come i fondi a formula”.
Ma quello del gruppo francese non è l’unico parere concorde fuori dalla nostra penisola. Il contributo della britannica M&G Investments, ci spiega al meglio il senso di questi consensi, nella voce di Matteo Astolfi (nella foto), sales director della società per l’Italia. “Il punto cruciale è che ogni azione atta a incrementare la concorrenza sul mercato, si traduce automaticamente in uno stimolo per coloro che ambiscono a essere protagonisti, il tutto a vantaggio dei risparmiatori” afferma Astolfi.
Come sempre in Italia si va avanti a suon di passi indietro, ma forse non tutto è perso sul fronte asset management.
Parallelamente a questa sconfitta è nata un piccolo germoglio di rivoluzione. Stiamo parlando del corposo documento di consultazione sulla dematerializzazione delle quote dei fondi comuni, presentato da Banca d’Italia e Consob.
Ce la faremo almeno stavolta? “Sono molto favorevole a questo progetto, la cui implementazione sarebbe prevista per il 2011. Significherebbe maggiore apertura del mercato, cosa a cui noi siamo geneticamente abituati, dato il nostro dna inglese. Personalmente, però, temo possibili passi indietro, specie in relazione ai possibili contrasti che si genererebbero con il mondo bancario” risponde sempre Astolfi. Cambiano i cavalli, ma il carrozzone rischia di rimanere sempre lo stesso.

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